Marco Riformetti | La “scuola di Vitebsk” e il movimento artistico UNOVIS
Tratto da Marco Riformetti, Comunisti, arte e cultura dal primo al secondo dopoguerra del Novecento, Tesi di laurea in “Storia e società” (LM84), maggio 2025.

Dall’assalto alla sopravvivenza
Questa ricerca inizia nella Russia rivoluzionaria dell’ottobre 1917 nel momento in cui i comunisti conquistano la maggioranza dei Soviet più importanti del paese e con essa il potere politico. Si tratta di una conquista che si svolge inizialmente senza spargimento di sangue perché realizzata grazie all’appoggio dei lavoratori industriali e urbani, di importanti (sebbene minoritari) settori contadini e di una parte dell’esercito, stremato dalla guerra. La situazione è però destinata a trasformarsi rapidamente perché una sanguinosa guerra civile viene scatenata dalle forze interne ostili al nuovo Governo e dalle potenze europee ad esse alleate nel tentativo di rovesciare il nascente potere sovietico.
La guerra mondiale prima e la guerra civile poi determinano una situazione molto difficile dal punto di vista economico e sociale, con la produzione agricola che a stento riesce a sfamare adeguatamente la popolazione. Nonostante questo, in mezzo alla fame e alla guerra, in una piccola città di provincia nasce un esperimento culturale straordinario.
La “scuola di Vitebsk” e il movimento artistico UNOVIS
Vitebsk è una cittadina che oggi appartiene alla parte settentrionale della Bielorussia, più o meno a metà strada tra Minsk e Mosca. Nel 1918 il Commissario del popolo all’istruzione del nuovo governo rivoluzionario, Anatolij Lunacharskij, convince il grande pittore Marc Chagall ad assumere la responsabilità dell’organizzazione artistica nella provincia; questi accetta, riorganizza la scuola di pittura che era stata diretta dal suo vecchio maestro Yehuda Pen e convince un altro grande artista, il fondatore del suprematismo Kazimir Malevic, a trasferirsi a Vitebsk per unirsi al progetto della nuova Scuola d’Arte Popolare[1].
In una prima fase Chagall adotta un approccio ecumenico, a cavallo tra tradizione e modernità, nel solco del tradizionale spirito di pacifica collaborazione che caratterizza le diverse componenti nazionali e tra queste la comunità ebraica, alla quale Chagall appartiene, che è particolarmente numerosa e costituisce quasi la metà della popolazione (cfr. Le Foll [2007] e Gimpelevich [2023]); gradualmente Malevic si afferma come punto di riferimento culturale della scuola alla quale, peraltro, partecipano altri grandi artisti (uno tra tutti, “El” Lissitzky, che diventerà una sorta di ponte culturale tra suprematismo e costruttivismo). Nel 1919 Malevic forma, assieme ad alcuni studenti, UNOVIS[2], un piccolo movimento d’avanguardia che rigetta l’idea di un’arte fine a sé stessa e sostiene l’importanza di un’arte politicamente e socialmente impegnata, realizzata attraverso un lavoro creativo collettivo; per questa ragione gli artisti aderenti al movimento firmano le opere non a titolo individuale, ma collettivamente, con un quadrato nero[3]).
Questo movimento è dunque formato da artisti impegnati che producono opere impegnate. Del resto, uno dei punti chiave del programma di UNOVIS è proprio quello di portare l’arte nella vita (Shatskikh [1993], p. 53) ovvero di trasformare l’arte in esperienza della quotidianità; nascono così il progetto di trasformazione urbanistica di Vitebsk del 1920 (Kotovich [2022]) o la decorazione artistica di spazi ed elementi della città, o ancora, la produzione di oggetti di comune utilità. Non mancano progetti di architettura suprematista (Khan-Magomedov [2007]). Altre importanti opere di UNOVIS riguardano il progetto di balletto approntato da Nina Kogan (Kogan [1920]) e la realizzazione da parte di Vera Ermolaeva di costumi e scenografie per l’opera teatrale Vittoria sul sole (Ermolaeva [1920]).
UNOVIS è un movimento ispirato alle concezioni artistiche e pedagogiche di Malevic e quindi, in definitiva, al suprematismo. Ma il suprematismo sostiene l’idea di un’estetica completamente non figurativa (Malevic [1959]) e considera ingannevole il mondo sensibile, un po’ come pensavano anche Platone o Cartesio; e in effetti ci sono alcuni elementi in comune tra il pittore russo e il filosofo greco, primo tra tutti il ritenere che esista una realtà più vera e più profonda di quella che possiamo percepire attraverso i sensi: una “vera realtà” fatta di forme ideali, perfette, geometriche. E anche questo è un punto di contatto con Platone per il quale la bellezza è una bellezza matematica, ideale, pensabile più che percepibile. Malevic e Platone condividono l’idea che più l’arte cerca di adeguarsi alle forme della realtà e più essa si trasforma in una sua povera imitazione. Non si potrebbe essere qui più distanti dal realismo[4] e non a caso Kazimir Malevic viene considerato uno dei padri, se non il padre, dell’astrattismo contemporaneo.
In Malevic l’annullamento delle forme si tende fino alle estreme conseguenze nelle opere più iconiche: “Quadrato nero” e “Bianco su bianco”[5]. Sarebbe qui interessante interloquire con l’artista, mostrando che il suo quadrato nero non è per nulla ideale, ma è solo un concretissimo quadrato nero fatto di concrete dimensioni e concreti colori; a rigori, il “quadrato nero” non è neppure un quadrato, come si potrebbe ben verificare andando a guardare nel dettaglio le superfici, i contorni, gli spessori, le linee (e dunque il quadrato nero reale è un’imitazione del quadrato nero ideale né più né meno di come l’albero dipinto è un’imitazione dell’albero reale); senza contare, infine, che il quadrato viene comunque visto, più che pensato; sono quasi sempre i sensi, nell’arte, a dominare la scena.
È pur vero che per esprimere un “sentimento” (questo è il punto essenziale per Malevic) le forme della realtà non bastano
«Con suprematismo intendo la supremazia del sentimento puro nell’arte creativa. Per il suprematista i fenomeni visivi del mondo oggettivo sono, di per sé, privi di significato; la cosa significativa è il sentimento, in quanto tale, del tutto indipendente dall’ambiente in cui viene evocato» (Malevic [1959], p. 67)
Questo richiamo al sentimento è invece un elemento che allontana significativamente il suprematismo da Platone; per questi, infatti, è la ragione, il logos, che deve dominare le passioni e in particolare thymos e epithymia (cfr. Platone [2003]). Per Malevic, invece, nel processo creativo è la dimensione del subconscio che deve dominare su quella del conscio, per dirla in termini psicoanalitici. Questa impostazione allontana il suprematismo anche da un certo ulteriore sviluppo dell’arte contemporanea, molto concettuale e poco estetico (Duchamp, Manzoni, Cattelan per fare solo qualche nome).
A questo punto può apparire singolare il tentativo dei suprematisti di costruire un’arte svincolata dalla realtà fenomenica e completamente non oggettiva rivendicando, al contempo, la necessità di uno stretto legame dell’arte con la vita e con gli elementi concreti che la popolano. D’altra parte, se la rivoluzione sociale è una rottura con le concezioni politiche dominanti, allora la rivoluzione artistica è una rottura con le concezioni estetiche dominanti. Il rifiuto suprematista della forma è una rivoluzione nel campo dell’arte che si coniuga idealmente con la rivoluzione nel campo della società. Il problema verrà semmai in un secondo tempo, quando si tratterà di coniugare dialetticamente pars destruens e pars construens perché il nuovo mondo non potrà essere la semplice negazione del vecchio mondo, ma piuttosto il suo Aufhebung ovvero il suo superamento che è anche, in certa misura, mantenimento. E dunque Malevic, certo, ma anche Giotto o Caravaggio.
Note
[1] È da sottolineare il fatto singolare che in quegli anni, proprio a Vitebsk, è attivo anche un altro importante intellettuale e critico letterario, Michail Bachtin, le cui teorie sull’importanza del dialogo e dell’interazione sociale influenzano Malevic e sono influenzate dalle teorie suprematiste di questi (cfr. White, Peters [2016]).
[2] Utverditeli Novogo Iskusstva, I sostenitori della Nuova Arte.
[3] Quadrato nero (Malevic [1915]) è una delle opere più famose del suprematismo.
[4] E infatti, quando si afferma l’integralismo realista in URSS, l’opera di Malevic comincia ad essere svalorizzata (se non addirittura occultata). Il pittore stesso, negli anni ’30, opera un ritorno alla figura.
[5] Ritroveremo un approccio analogo anche nelle opere monocromatiche di Ives Klein negli anni ‘60.