Marco Riformetti | La “cultura proletaria” e il Proletkult
Tratto da Marco Riformetti @academia.edu, Comunisti, arte e cultura dal primo al secondo dopoguerra del Novecento, Tesi di laurea in “Storia e società” (LM84), maggio 2025.

Il movimento culturale e politico Proletkult nasce nei giorni dell’Ottobre; qualcuno dice il 19 (Mally [1990]), altri il 29 (Fitzpatrick [1976]); altri fanno addirittura retrocedere la sua nascita ad una conferenza del Soviet di Pietrogrado del luglio 1917 (Strada [1967]). In realtà parte del gruppo dirigente del Proletkult ha una storia ben più lunga che affonda le proprie radici negli anni immediatamente successivi alla Rivoluzione russa del 1905, una storia divenuta famosa per un aspro dibattito che aveva posto, l’uno di fronte all’altro, Lenin e Alexander Bogdanov – leader della componente otzovista del partito socialdemocratico bolscevico (e poi, appunto, del Proletkult) -. Nel 1908 Bogdanov è al tempo stesso leader di una componente ed esponente di primissimo piano dell’intero partito bolscevico (e, in quanto tale, uno dei principali dirigenti dell’apparato illegale). Sono anni in cui la repressione zarista si è fatta molto dura e il partito bolscevico (come peraltro l’intera sinistra rivoluzionaria) versa in gravi difficoltà. Bogdanov propone di spostare tutta l’attività politica sul terreno della clandestinità e della lotta armata, ma Lenin è contrario alla deriva militarista degli otzovisti e ritiene importante che nessun terreno di lotta venga abbandonato: propone dunque di conservare l’apparato illegale del partito (contro le proposte di sua liquidazione da parte dei menscevichi), ma anche di preservare ogni spazio di agibilità legale esistente. A sostegno di Bogdanov e delle tesi otzoviste si schierano due figure che saranno importantissime per la politica culturale del partito negli anni a venire: Anatolij Luna?iarskij e Maxim Gor’kij. Il primo, lo abbiamo già visto, è destinato ad assumere la carica di Commissario del popolo all’Istruzione dopo l’Ottobre e a dirigere la politica culturale negli anni ’20; il secondo è il “padre spirituale” del realismo socialista che si imporrà negli anni ’30. Lo scontro tra Lenin e Bogdanov è talmente duro che rischia di spaccare il partito; per scongiurare questa eventualità Gor’kij organizza un incontro a Capri tra i due dirigenti bolscevichi a cui Lenin acconsente, a patto che esso verta esclusivamente sulle divergenze di carattere filosofico [36] e non su quelle di carattere politico. L’incontro si tiene, i due parlano, giocano a scacchi e alla fine il partito non si rompe. Restano però alcune divergenze, la più importante delle quali riguarda il rapporto tra masse e avanguardie. Bogdanov è ottimista sulla capacità di auto-determinazione delle masse; Lenin invece considera imprescindibile il ruolo dell’organizzazione rivoluzionaria nello sviluppo tra i lavoratori della coscienza politica (anch’essa, ovviamente, rivoluzionaria). Nel 1917 la componente post-otzovista diventa componente vperiodista in quanto di riunisce attorno alla redazione del giornale Vperiod e, strano a dirsi, quest’area politica che voleva praticare la lotta armata a tutti i costi nel 1908 – in un periodo di arretramento del movimento rivoluzionario – ora – in un periodo di ascesa del movimento rivoluzionario – si oppone e non partecipa all’Ottobre. Gor’kij ospita addirittura sulle pagine del suo giornale – la Novaja Gizn – una critica che di fatto anticipa gli imminenti eventi insurrezionali e che qualcuno legge come vero e proprio tradimento. Questa contraddizione appare meno stridente ove si osservi che l’approccio di Bogdanov è un approccio per molti aspetti post-populista [37] (come emerge ad esempio dall’incapacità del 1908 di pensare in modo più ampio rispetto alla tattica terroristica, tipica dei narodniki).
All’indomani dell’Ottobre, il Proletkult lancia una vera e propria andata al popolo (se non proprio verso le campagne sicuramente verso le località periferiche) nello stile della famosa “primavera populista” del 1874 [38].
Un movimento così fortemente ancorato ad una dimensione popolare immediata [39] non può sostenere un’estetica che possiede un linguaggio d’élite (quale appare essere l’arte astratta) ma tende ad avere un approccio più tradizionale; questo spiega la vicinanza, apparentemente singolare, tra l’estetica cara al Proletkult di Bogdanov e il realismo socialista caro a Ždanov (e a Gor’kij). D’altra parte, per la sua natura movimentista il Proletkult presenta al suo interno diverse tendenze, anche contraddittorie. Sebbene il “realismo proletario” non possa non essere naturalmente prevalente [40] non mancano però neppure alcune inclinazioni avanguardistiche.
Un punto essenziale che caratterizza il programma del Proletkult è quello del rifiuto integrale opposto nei confronti della cultura borghese e la promozione della cultura che promana spontaneamente dal proletariato. Proprio questa spontaneità dev’essere agevolata in tutti i modi; pertanto, Stato e partito devono chiamarsi fuori
«I membri del Proletkult presero l’idea della “dittatura del proletariato” alla lettera […] il governo sovietico non poteva operare come difensore unilaterale del proletariato perché doveva tenere conto delle esigenze delle altre classi. Pertanto, volevano che il Proletkult fosse completamente indipendente […] I membri del Proletkult insistevano sull’indipendenza anche dal partito comunista, sostenendo che il loro movimento, in quanto rappresentante degli interessi culturali del proletariato, era importante tanto quanto il partito, rappresentante dei suoi interessi politici» (Mally [1990], p. XX)
Lo scontro è inevitabile. Il Proletkult non ottiene l’autonomia desiderata; al contrario, alla fine della guerra civile, cioè nei primi anni ’20, viene posto sotto il controllo dello Stato.
Il Proletkult ha indubbiamente alcuni meriti, il più importante dei quali è quello di andare incontro con forza e senza mediazioni alla sete di cultura e di sapere che si sprigiona nelle masse con la rivoluzione. Questo fa sì che esso diventi ben presto un movimento proletario di massa. Ma, specialmente nel quadro della guerra civile, non avere una politica di alleanze significa votarsi alla sconfitta. Il Proletkult ha ragione quando afferma che lo Stato sovietico non esprime gli interessi del solo proletariato: il nuovo governo rivoluzionario ha ora di fronte a sé l’intero quadro della vita russa e la “dittatura del proletariato” deve esprimersi il più possibile come capacità dirigente sulle altre classi popolari e non come semplice espressione di parte della società.
Ma non si tratta solo un problema tattico
«per Lenin non c’era opposizione tra “cultura” e “civiltà”. La rivoluzione socialista è, sì, “cultura”, nel senso manniano [41] e blokiano [42] del termine, ma una cultura che si fonda su una indispensabile base civile. Il lavoro politico di fondazione civile della cultura presuppone: a) un atteggiamento costruttivo verso la cultura borghese; b) un rapporto tra il partito e le masse che non è quello tra “pastori” e “gregge”, ma quello tra avanguardia e vari dinamici gradi di retroguardia di uno stesso e medesimo insieme economico-politico» (Strada [1969])
Si potrebbe dire: non bisogna aver paura di trovarsi in contraddizione con le concezioni che esprimono le masse perché è proprio da tale contraddizione che, dialetticamente, scaturisce il progresso della coscienza.
Bisogna inoltre scongiurare in tutti i modi la negazione anti-dialettica della cultura borghese. Il socialismo non è annichilazione, ma superamento-conservazione (Aufhebung) del mondo che lo precede.
Note
[36] Per preparare la sua critica alle tesi filosofiche di Bogdanov e degli otzovisti Lenin compie un duro lavoro di approfondimento che lo condurrà alla pubblicazione di un grosso tomo dal titolo Materialismo ed empiriocriticismo (cfr. Lenin [1963]).
[37] Qui la parola populista deve essere intesa “in senso stretto” ovvero collegata alla notevole influenza esercitata dal populismo russo fin dalla seconda metà dell’800, specialmente nel mondo contadino al punto che il partito post-populista dei Socialisti rivoluzionari esprime il primo ministro Kerensky dopo la rivoluzione del febbraio 1917 in quanto partito più votato all’interno dei Soviet fino al 1918.
[38] L’“andata al popolo” del 1873-1874 era stata la grande iniziativa di sensibilizzazione delle campagne russe lanciata dagli studenti populisti per sobillare i contadini alla rivolta contro lo zarismo.
[39] Nel senso letterale del termine, non mediata.
[40] Dopotutto la parola Proletkult è una contrazione di proletarskaja kulturno-prosvetitelskaja organizadja, che in russo significa organizzazione culturale-educativa proletaria.
[41] Thomas Mann, qui richiamato da Vittorio Strada in relazione alle concezioni di Lenin, tende a identificare la “civilisation” con il mondo borghese – e in particolare il mondo borghese francese – mentre associa tendenzialmente la “Kultur” al mondo germanico, contrapponendo rigidamente i due elementi.
[42] Alexandr Blok propone una visione dialettica del rapporto tra cultura e civiltà, in cui sono le masse “barbariche” proletarie che assumono il compito storico della conservazione dello spirito della cultura e del rinnovamento della società, soprattutto in quanto la civiltà (borghese) ha perso la sua forza propulsiva. Il proletariato, in altri termini, raccoglie (meglio: strappa di mano) il testimone alla borghesia nel processo storico di emancipazione umana universale.



