Antiper | Emiliano Brancaccio e le “condizioni economiche per la pace”
Emiliano Brancaccio è un noto economista italiano di scuola keynesiana che non è nuovo nella promozione di appelli pubblicati dal Financial Times e sottoscritti da liste di professori (si vedano contro le politiche di austerità dell’UE, contro il MES, per un piano anti-covid…). In larga parte della sinistra viene definito marxista, ma marxista non è, sebbene sia una persona intelligente che non di rado propone riflessioni più interessanti di quelle che propongono persone apparentemente più “ortodosse” (del resto la sua corrente intellettuale è quella che si definisce dell’economia eterodossa).
Mesi fa ha varato l’ennesimo appello – Le condizioni economiche per la pace – di cui si segnalano un punto analitico interessante e una proposta politica non interessante.
Il punto analitico consiste nel riconoscimento che le tensioni militari in atto, a partire dall’Ucraina, derivano dalle tensioni economiche e strategiche che la cosiddetta “globalizzazione” ha acuito a causa dell’emersione di aree geopolitiche capaci di mettere in crisi l’egemonia imperialista americana.
Potremmo anche dire così: la guerra in Ucraina è uno dei modi attraverso i quali l’imperialismo americano reagisce al proprio declino.
Per molti anni ampi movimenti internazionali hanno avversato la cosiddetta “globalizzazione” “neo-liberista”. Questi movimenti sembravano essere progressisti solo perché promuovevano vaste mobilitazioni contro le grandi istituzioni internazionali (G8, G7, WEF, OCSE, WTO…), ma in realtà nel giro di pochi anni è risultato chiaro che alla guida dei movimenti contro la globalizzazione erano collocati partiti e movimenti reazionari, fascisti, neo-nazionalisti.
Agli albori del movimento no global (ovvero nelle manifestazioni di Seattle del 1999 contro il “Millenium Round” del WTO) i sindacati americani proponevano politiche protezionistiche per difendere la competitività delle produzioni americane di acciaio contro quelle europee; misure protezionistiche del tutto analoghe a quelle che sta attuano il governo americano negli ultimi anni contro la Cina.
Ma nel 1999 le leadership imperialiste erano favorevoli alla “globalizzazione” e fintanto che essa è sembrata favorire i loro interessi i paesi occidentali hanno portato avanti politiche di de-industrializzazione, terziarizzazione, delocalizzazione. Non si trattava, come pensavano gli anti-neo-liberisti, di una posizione ideologica ma di una posizione pragmatica tanto è vero che oggi che gli esiti della globalizzazione stanno approfondendo la crisi dell’occidente, l’occidente reagisce con il protezionismo e la guerra.
Cosa propongono gli economisti di Brancaccio di fronte a questo scenario? Propongono le solite chiacchiere neo-keynesiane e buoniste: gli USA dovrebbero smettere di promuovere il “friendshoring” ovvero la ricollocazione delle catene di approvigionamento in paesi amici (ma oggi chi è rimasto davvero amico dei vampiri euro-americani?) mentre la Cina dovrebbe smettere di essere troppo competitiva e di usare il “libero scambio” nella costruzione della propria forza industriale, commerciale, finanziaria… per non indispettire gli imperialisti in declino.
I promotori dell’appello si dichiarano consapevoli di proporre soluzioni da “capitalismo illuminato”; d’altra parte, dicono, non vedono alternative per evitare una escalation militare; evidentemente non hanno capito che l’escalation militare è già in atto almeno dagli anni ’90 ed ha in palio la ristrutturazione dell’assetto geo-politico globale post-URSS.
Non capiscono, questi accademici, che l’escalation è in atto proprio perché non esiste alcuna soluzione capitalistica concordata alle crescenti contraddizioni. In questo contesto la pace è impossibile e se fosse possibile non sarebbe auspicabile perché la pace tra e con gli imperialisti è solo pace imperialista. I marxisti devono invece auspicare che dalla lotta tra gli imperialisti o dalla lotta degli anti o dei non imperialisti contro gli imperialisti emergano le condizioni storiche per lo sviluppo di processi rivoluzionari che con tutta la loro attuale improbabilità sono mille volte più probabili dei piani keynesiani di pace e concordia universale.
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L’appello
A year has passed since the start of Russia’s invasion of Ukraine, and nothing seems to indicate that the flames of war are dying. Why does the war still continue? Why are military tensions rising in the world?
We reject the thesis of a ‘clash of civilisations’. Rather, we need to recognise that the contradictions in the deregulated global economic system have made geopolitical tensions more acute.
One of the worst faults of the present system is the imbalance in economic relations inherited from the era of free-market globalization. We refer to international net positions, where the United States, the United Kingdom and various other Western countries have large external debts, while China, other Eastern countries, and to some extent Russia are in an external credit position.
A consequence of this imbalance is a tendency to export eastern capital to the west, no longer only in the form of loans but also of acquisitions leading to a centralization of capital in eastern hands.
To counter this trend, the United States and its major allies have for several years abandoned their previous enthusiasm for deregulated globalism and have adopted a policy of “friend shoring”: an increasingly pronounced protectionist closure against goods and capital from China, Russia and much of the non-aligned East. The European Union too has been joining this American-led protectionist turn.
If history is any guide, these uncoordinated forms of protectionism exacerbate international tensions and create favourable conditions for new military clashes. The conflict in Ukraine and rising tensions in the Far and Middle East can be fully understood only in the light of these economic contradictions.
A new international economic policy initiative is therefore required to launch a realistic pacification process.
A plan is needed to regulate current account imbalances, which draws on Keynes’s plan for an international clearing union. A development of this idea today should start from a double renunciation: the United States and its Allies should abandon the unilateral protectionism of “friend shoring,” while China and other creditors should abandon their espousal of unfettered free trade.
We are aware that we are evoking a solution of “enlightened capitalism” that was outlined after the outbreak of two world wars and under the goad of the Soviet alternative. This is exactly the urgent task of our time: we need to assess whether it is possible to create the economic conditions for world pacification before military tensions reach a point of no return.SIGNATURES
Emiliano Brancaccio (University of Sannio, IT) and Robert Skidelsky (Warwick University, GB), with Rania Antonopoulos (Levy Economics Institute, US), Pier Giorgio Ardeni (University of Bologna, IT), Josef Baum (University of Vienna, AT), Johannes M. Becker (Philipps University of Marburg, DE), Rosaria Rita Canale (Università Parthenope, IT), Margarida Chagas Lopes (Universidade de Lisboa, PT), Marcella Corsi (University La Sapienza, IT), Christophe Depoortère (University of Reunion, FR), Jesus Ferreiro (University of the Basque Country, ES), Giuseppe Fontana (University of Leeds, GB), Mauro Gallegati (Marche Polytechnic University, IT), Alicia Girón (Universidad Nacional Autonoma, MX), Rebeca Gomez Betancourt (University of Lyon 2, FR), Gjalt Huppes (Leiden University, NL), Grazia Ietto-Gillies (London South Bank University, GB), Jakob Kapeller (University Duisburg-Essen, DE), Stefano Lucarelli (Università di Bergamo, IT), Mahmood Messkoub (ISS, Erasmus University of Rotterdam, NL), Juan Carlos Moreno Brid (Universidad Nacional Autónoma, MX), Júlio Marques Mota (University of Coimbra, PT), Dimitri Papadimitriou (Levy Economics Institute, US), Ugo Pagano (University of Siena, IT), Heikki Patomäki (University of Helsinki, FI), Paolo Pini (University of Ferrara, IT), Louis-Philippe Rochon (Laurentian University, CA), Sergio Rossi (University of Fribourg, CH), Donald Sassoon (Queen Mary, University of London, GB), Mario Seccareccia (University of Ottawa, CA), Gennaro Zezza (Levy Economics Institute, US), and others.
Brancaccio keynesiano non si può leggere. Lui non è solo un marxista, è il migliore marxista sulla piazza italiana. Non a caso voi accettate la sua interpretazione della guerra, l’unica seria tra tante chiacchiere. Sulla tesi politica, la vostra descrizione dell’appello e del libro omonimo è tendenziosa. L’appello e il libro si chiudono con un bivio tra l’ottimismo riformista di Keynes e il pessimismo rivoluzionario di Lenin. Voi non lo dite ma è chiaro a chiunque lo legge che lui propende per la soluzione rivoluzionaria di Lenin. Io però domando: come fa Brancaccio a propendere per Lenin in un’epoca in cui rischiamo tutti la guerra nucleare? questo dilemma lui non lo risolve. Figurarsi gli altri. Redwolf
Magari è come dici tu e Brancaccio è un cripto-leninista. Benissimo!
l’autore di questo post può chiedere un confronto al compagno prof Brancaccio, così vediamo se Brancaccio è davvero keynesiano oppure se l’autore del post deve studiare meglio. Collettivo studenti Stella Rossa
Avete sicuramente ragione, sempre c’è da studiare meglio.