Giulia Iacometti | Etica e politica dell’Antropocene. Qualche conclusione
Tratto da Etica e politica nell’Antropocene (a partire dal contributo di Jason W. Moore), Tesi di laurea in filosofia, Pisa, 2018, PDF, 72 pagine.

L’impatto della logica di funzionamento del modo di produzione capitalistico – accumulazione senza limiti di ricchezza e potere, appropriazione senza limiti di natura e tempo di vita umana – sulla “rete della vita”, come la chiama Jason Moore, è un tema di importanza fondamentale per il futuro, ma ormai, forse, anche per il presente. Pur senza indulgere in atteggiamenti catastrofisti è chiaro che si delineano di fronte a noi emergenze rispetto alle quali ogni sottovalutazione si configura come un vero e proprio “crimine contro l’umanità” ed anzi contro la vita più in generale.
Il dibatto neo-ecosocialista in Italia è, oggi, pressoché inesistente. Fatta salva la meritevole iniziativa di alcune riviste e di alcuni autori, i temi “ecologici” (compresi quelli ultralight del fu movimento Verde) sono stati completamente eliminati dal dibattito pubblico; questo non deve stupirci dal momento che parlare di vincoli ecologici significa parlare di vincoli economici e il capitale non ha alcuna intenzione di rispettare altri vincoli oltre quello del massimo profitto. Il recente ritiro degli Stati Uniti dai pur timidissimi “accordi di Parigi” costituisce l’ennesima dimostrazione che la logica del profitto non intende sottomettersi a qualsivoglia, ancorché blanda, regola.
L’assenza di un dibattito italiano fa sì che spesso si sia costretti a riferirsi ad elaborazioni che provengono dall’estero, specialmente dal mondo anglosassone. Jason Moore, la Monthly Review ed altri animano un dibattito che pur nella sua importanza teorica e politica resta pur sempre un dibattito, a dir tanto, di nicchia.
Invece, le questioni ecologiche pongono un problema etico e politico fondamentale. Anche volendo prescindere da impostazioni politiche di carattere radicale o marxista non possiamo non domandarci se sia giusto permettere lo sfruttamento indiscriminato dei lavoratori e il saccheggio indiscriminato della natura per consentire la riproduzione di un sistema capace di polarizzare la ricchezza al punto tale che 8 persone ne detengono tanta quanto 3 miliardi e mezzo [1]?
E se rispondiamo che non è giusto e riconosciamo che lo sviluppo capitalistico sta conducendo il pianeta alla crisi sociale e ambientale è giusto auspicare il ritorno al “piccolo mondo antico” vagheggiato da autori reazionari come Heidegger oppure, al contrario, è giusto riconoscere che proprio nel futuro è collocata la soluzione degli enigmi che ci troviamo dinanzi?
E se diciamo futuro dobbiamo domandarci: quale futuro? Un futuro capitalistico in cui tentare di mettere toppe tecnologiche necessariamente inadeguate ai problemi posti dall’uso capitalistico delle macchine e all’abuso capitalistico della natura umana ed extra-umana oppure un futuro nel quale la salvaguardia dell’uomo e della natura, e non l’accumulazione indefinita di profitto, siano collocati al centro della “rete della vita”?
Devastazione sociale e devastazione ambientale sono due facce della stessa medaglia ovvero dello stesso modo di produzione. Riprendere la critica pratica e teorica dell’economia – e dell’ecologia – politica capitalistica è dunque un impegno al quale, anche con questo piccolo contributo accademico, abbiamo inteso contribuire, fedeli alla convinzione che la filosofia debba interrogarsi sul mondo che è stato, come la hegeliana “nottola di Minerva”, ma anche sul mondo che verrà.
Note
[1] Luisiana Gaita, Rapporto Oxfam, otto uomini possiedono la stessa ricchezza di 3,6 miliardi di persone nel mondo, IlFattoQuotidiano.it, 16 gennaio 2017.



