Bissinger: Dopo la supercatastrofe di Chernobyl il mondo è tornato di nuovo all’ordine del giorno, e in esso l’atomo sta ancora al primo punto. Di presa di distanza parlano e pensano ancora soltanto gli oppositori, quelli che ormai da sempre l’hanno fatto. Lei, G?nther Anders, è senza dubbio uno dei loro padri spirituali. Si aspettava qualcosa di più dallo choc di Chernobyl?
Anders: È nostro compito – e io ho cercato di adempiere a tale compito – è necessario dare a questo choc una “nota d’eternità”. Non dobbiamo stancarci di dire alla gente: badate, qualcosa del genere può sempre accadere di nuovo. E ciò, non solo perché la tecnica russa sia inferiore a quella dell’Europa occidentale o a quella americana. Anche in Occidente sono già andate storte molte cose, e ciò può ripetersi in qualsiasi momento, e specialmente in Francia, che è disseminata delle più svariate installazioni nucleari. Io sono dell’avviso di fare di Chernobyl – benché ciò possa suonare alquanto cinico – un simbolo, allo stesso modo di Hiroshima, come io per lo meno ho cercato di fare. Era assolutamente fondato il fatto che, a mia insaputa, dal mio slogan “Hiroshima è dappertutto” [1] sia stata coniata la frase “Chernobyl è dappertutto” Questa seconda frase ha perfino un senso più forte della prima. “Hiroshima è dappertutto” voleva dire: “quel che è successo a Hiroshima, può succedere anche in qualsiasi altro luogo del globo”. “Chernobyl è dappertutto” vuol dire invece: se in un singolo luogo come Chernobyl accade una disgrazia, allora questa può co-accadere dappertutto, cioè può raggiungere tutti i punti della Terra. Quindi in un certo qual modo si trasforma in una “epidemia”.