Primomaggio | Un foglio dei lavoratori. Per un collegamento di lotta e di informazione
Tratto dal numero 0 di Primomaggio, foglio di collegamento tra lavoratori, disoccupati, precari… della zona apuo-versiliese, agosto 2003
Questo foglio nasce per iniziativa di lavoratori, precari, disoccupati… della zona apuo-versiliese che ritengono utile sviluppare un confronto stabile e trasversale alle organizzazioni sindacali tra le varie situazioni di lavoro e di lotta.
L’obbiettivo del foglio – ambizioso ma che noi riteniamo realistico – è quello di “essere voce” di tutti quei lavoratori combattivi che non intendono adeguarsi alla situazione esistente nel mondo del lavoro e che intendono organizzarsi e prepararsi per prendere direttamente nelle proprie mani la difesa i propri interessi.
Sono molti anni che in nome dell’“unità sindacale” viene chiesto ai lavoratori di accettare continui arretramenti sia dal punto di vista dei diritti, sia dal punto di vista del salario. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: il salario diminuisce ogni anno, il lavoro precario dilaga, il numero di infortuni e di morti sul lavoro si mantiene elevatissimo (specialmente in Toscana), i giovani trovano sempre meno lavoro, la dignità viene calpestata quotidianamente, i diritti conquistati in decenni di lotte vengono cancellati da un giorno all’altro…
Noi siamo quella parte di mondo del lavoro che quando parla di unità si riferisce all’unità di classe dei lavoratori e non all’unità dei vertici sindacali.
Siamo lavoratori “tipici” della cantieristica o di vari settori metalmeccanici, “informatici”, studenti-lavoratori, lavoratori a nero e stagionali, lavoratori di piccole e piccolissime ditte e cooperative, lavoratori della distribuzione, lavoratori del settore pubblico.
Siamo uno spaccato del mondo del lavoro della nostra zona, siamo parte della classe.
Quando parliamo di “classe” alcuni ci criticano. Ci dicono che usiamo termini “vecchi”, “obsoleti”, che dovremmo rinnovarci (anche se molti di noi sono giovani). Certo, i padroni usano continuamente nuovi termini: parlano di noi come di “risorse” (come fanno per il denaro o per le macchine); quando va bene, ci definiscono risorse “umane”. I termini cambiano ma lo sfruttamento non cambia.
I rapporti di lavoro sono sempre più gerarchici e si è costretti a subire quotidianamente angherie e soprusi prima inimmaginabili. In alcuni casi si parla di “mobbing” ed è il modo per farti sentire una nullità, un peso morto, uno che deve solo ringraziare se ha un lavoro: ringraziare e stare zitto.
Ecco, oggi ci si sente fortunati se si ha un lavoro, anche se è un lavoro pessimo, anche se si guadagna poco e si lavora tanto, anche se si vive in condizioni ambientali indecenti, anche si rischia la pelle e la salute (compresa quella mentale), anche se per nulla si viene puniti e rimproverati.
Ci si sente “fortunati” a poter essere sfruttati in condizioni “tipiche” perché se hai un lavoro stabile, per quanto alienante possa essere, sei un “insider” (come dice il “libro bianco” di Biagi e Maroni), altrimenti sei un “outsider”, uno che sta fuori, uno che non ha diritti, uno che deve solo sperare e, mentre spera, ammazzarsi nel lavoro o nella ricerca del lavoro, “accontentarsi ed essere “invisibile”. Del resto nello stesso diritto del lavoro chi non rientra nei criteri per l’applicazione di alcuni diritti viene definito “invisibile”.
I lavoratori devono essere ultra-flessibili, cioè ultra-ricattabili: interinali, a progetto, socialmente utili, di pubblica utilità… e poi part-time, job-sharing, staff leasing, job on call… è tutto un fiorire di contratti “atipici” dai roboanti nomi anglofoni. E meno male che hanno abolito i co.co.co. che ci facevano sentire, ancor più di quanto già non ci sentissimo, dei polli.
Ma può essere “atipico” un lavoro che sta diventando maggioritario (come nelle “regioni rosse” per eccellenza, Toscana ed Emilia-Romagna) ?
E quanti di coloro che hanno contratti di lavoro “tipici” in realtà non si trovano in condizioni di “flessibilità indiretta” (cooperative, ditte sub-appaltatrici, luoghi di lavoro a bassissimo tasso di sindacalizzazione come nella cosiddetta “new economy”…) ?
Noi siamo quella parte di lavoratori che non sono mai stati convinti che gli interessi dei padroni e quelli dei lavoratori possano coincidere; siamo quella parte di lavoratori che non ha mai considerato la concertazione utile per difendere e promuovere gli interessi dei lavoratori.
Siamo quelli che pensano che solo la lotta, il conflitto sociale organizzato, può garantire ai lavoratori la difesa e lo sviluppo dei propri interessi.
In uno degli ultimi numeri, Rassegna Sindacale (periodico online della CGIL) pubblica un articolo di Guglielmo Epifani (“Una sfida ancora attuale”) il quale celebrando il decennale dell’accordo del 23 luglio 1993 ne esalta il “ruolo storico”..
Ecco, noi siamo tra quelli che pensano che quell’accordo passerà alla storia, sì, ma come simbolo di svendita degli interessi dei lavoratori perché quell’accordo, assieme a quello indecente del 31 luglio 1992 sull’abolizione della scala mobile che provocò una straordinaria mobilitazione operaia, ha spianato la strada a 10 anni di vero e proprio massacro sociale.
Il bilancio di 10 anni di concertazione è davanti agli occhi di tutti.
Se oggi la concertazione viene “fatta saltare” dai padroni e dai loro fedeli servitori CISL e UIL è perché i padroni, di fronte all’aggravarsi della crisi economica mondiale, non sono più disposti a concedere neppure le briciole (che in realtà, negli ultimi 10 anni, erano costituite solo dalla parziale attenuazione del ritmo di smantellamento dei diritti e dell’entità della riduzione del salario sociale di classe (busta paga, sanità, pensioni…).
Vogliono tutto e subito.
Il nostro punto di vista è ben rappresentato dal passaggio conclusivo dell’appello che abbiamo distribuito e su cui abbiamo raccolto adesioni in vista del referendum sull’art.18 del 15-16 giugno scorso: “La battaglia [per l’estensione dell’art.18, ndr] è una battaglia politica […] che può essere osteggiata solo in un sistema politico caratterizzato dal profitto capitalistico e dallo sfruttamento della forza-lavoro.
L’importanza di questa battaglia [….] risiede nella conquista, da parte del mondo del lavoro, di una chiara coscienza dei propri diritti e dei propri interessi di classe.
Anche per questo riteniamo che sia indispensabile costruire un collegamento ‘dal basso’ dei lavoratori che sappia stimolarne l’autonomia e rappresentarne direttamente la voce.
Aldilà delle sigle sindacali e delle categorie di appartenenza questo collegamento […] che siamo impegnati a costruire deve essere basato su alcuni pilastri che a nostro avviso possono riscontrare un grande consenso tra i lavoratori: rifiutare la pratica e la logica stessa della concertazione, ribadire la centralità della lotta come strumento per la difesa e la conquista di diritti e salari, lottare contro la mancanza di democrazia sui luoghi di lavoro (e nelle stesse organizzazioni sindacali), porre al centro del dibattito la ricomposizione della classe dei lavoratori, dell’unità di lotta tra lavoratori precari e lavoratori con maggiori diritti, della difesa dei diritti acquisiti […] – come ad esempio sulle pensioni, sulla sanità, sulla casa, sulla sicurezza e la salute sul lavoro…; sono, questi, tutti elementi che uniscono amplissimi settori di lavoratori e che possono rappresentare una base di partenza per aprire un confronto teso a ricostruire sul territorio una forza del lavoro con cui tutti (dai padroni, alle istituzioni, ai partiti, ai sindacati) debbano fare i conti”.
Ci accingiamo all’impegno del foglio con questo spirito e chiediamo a tutti i lavoratori che lo ricevono e che ne condividono l’impostazione di diventarne da subito collaboratori.
Questo primo numero “pilota” esce ad agosto, con il caldo. Così ci abituiamo al caldo che farà nei prossimi “autunni”.