Antiper | Rivolte e rivoluzioni
Da Rivolta araba, raccolta di interventi sulle rivolte arabe del 2010-2011.
Stupisce constatare che sugli eventi che scuotono Nord Africa e Medio Oriente dall’inizio dell’anno pochi abbiano voluto approfondire l’analisi e molti si siano affrettati a elargire generosamente patenti rivoluzionarie a destra e a manca. E poiché, come dice il vecchio adagio, la gatta frettolosa fa i gattini ciechi… ne è venuta fuori una singolare situazione: imperialisti come Sarkozy, Obama e Cameron, poco sinceri democratici come Veltroni e vari altri amici del “popolo di Sion” che di (distruzione del) mondo arabo se ne intendono, movimentisti di ogni risma, autonomi, trotzkisti, bordighisti, internazionalisti, stalinisti, maoisti, sfigati, punkabbestia, ecc… sono riusciti a dire, quasi all’unisono, che quelle che abbiamo di fronte sono indubitabilmente delle “rivoluzioni” o, quanto meno, delle “primavere” (?). E tutti giù, ad esultare…
Ma si può parlare di “rivoluzioni” quando siamo di fronte a trasformazioni che non producono nessun cambiamento della classe al potere ma solo, talvolta, di semplici “bandiere” (giacché, come vediamo in Libia, il vecchio apparato si passa il potere da una mano all’altra)? Evidentemente no. E quando anche fossimo di fronte a trasformazioni di quel tipo si dovrebbe comunque saper distinguere tra rivoluzioni che estendono la platea della partecipazione democratica [1] e controrivoluzioni che la restringono.
Invece no, tutti a parlare di rivoluzioni. Come mai? Gli imperialisti parlano di rivoluzioni per accreditare una la presunta profondità della trasformazione politico-sociale che dovrebbe dimostrare la fine definitiva della fase del tanto sbandierato “scontro di civiltà” e della “guerra al terrore”, ormai tramontata con l’uscita di scena dei Bush. Dal canto loro, gli “antagonisti” parlano di rivoluzioni perché vogliono accreditare l’idea che nel mondo “la rivoluzione avanza” e che quindi le loro (spesso bislacche) idee hanno ragion d’essere. Da questo punto di vista imperialisti e antagonisti condividono non solo le parole, ma anche l’obbiettivo, che possiamo riassumere in una parola: chiacchiere (o, per dirla in altri termini, propaganda).
La rivolta del Comuni italiani contro l’Impero fu un’insorgenza potenzialmente rivoluzionaria perché se si fosse affermata avrebbe realizzato la sostituzione della vecchia classe dominante (l’aristocrazia) con una nuova classe dominante (la borghesia), realizzando un’enorme estensione della possibilità di accesso ai ruoli del potere istituzionale, sia dal punto di vista formale che dal punto di vista sostanziale
“In un mondo in cui la codificazione legale, la norma sociale e l’abitudine consideravano ovvia la dipendenza degli individui da altri individui, per sangue e per elezione, superiori agli altri, affermare che il diritto di gruppi di persone non appartenenti alla nobiltà potessero associarsi tra pari per difendere i loro privilegi era un atto profondamente eversivo dell’ordine costituito” [2]
Ora, se la ribellione dei Comuni può essere definita una rivoluzione democratico-borghese mancata, il processo di ri-feudalizzazione che seguì la ribellione dei Comuni fu invece una vera e propria contro-rivoluzione.
Spesso tendiamo ad associare le “rivoluzioni” a particolari eventi storici: la rivoluzione francese alla presa della Bastiglia, la rivoluzione d’Ottobre all’assalto al Palazzo d’Inverno, ecc… In realtà, ogni processo rivoluzionario ha una sua peculiare gestazione ed un suo peculiare sviluppo. La Rivoluzione (socialista) dell’ottobre 1917 affonda certamente le sue radici nella rivoluzione democratica del 1905; la rivoluzione culturale cinese degli anni ’60 del ‘900 affonda certamente le radici nella “rivoluzione di nuova democrazia” culminata con la nascita della Repubblica Popolare cinese nel 1949. E’ possibile che tra qualche anno si possa affermare che la (speriamo nel frattempo avvenuta) rivoluzione araba affonda le proprie radici nelle ribellioni di oggi. Tutto è possibile. Ma oggi, per quello che abbiamo visto fin qui, nessuna tra le rivolte arabe ha le caratteristiche per essere definita “rivoluzionaria”; qualcuna, semmai, dovrebbe essere definita “reazionaria”.
Note
[1] La platea dei soggetti che accedono ai ruoli istituzionalmente dirigenti della società, la platea di coloro che possono accedere realmente ai diritti civili, politici, economici
[2] Atlante illustrato del capitalismo, Lotte di classe e tumulti popolari, pag.12, Demetra