Coordinamenta femminista e lesbica | A proposito di femminismo. Una risposta ad Antiper
Il vostro articolo è pieno di citazioni e grandi affreschi.
Forse, se una critica si può fare, si potrebbe notare che pretendendo di mettere tanta diversa carne al fuoco l’articolo finisce per bruciare tutto e lasciare ben poco da mettere sotto i denti.
La critica rivolta al nostro gruppo femminista “coordinamenta femminista e lesbica” sembra un buon esempio di questi errori “di cottura”. La critica che ci rivolgete è di poco conto, ma la scelta di esercitarla in un paragrafo in cui si prende di mira (a ragione!) il femminismo della differenza finisce per farle assumere ben altra rilevanza.
Perché fare il nome di un gruppo politico femminista che si oppone, da ben prima di voi, al pensiero innatista che accomuna ormai il femminismo di regime e molte femministe compagne? Perché utilizzare la coordinamenta come esempio di cattiva declinazione del femminismo (addirittura come esempio di articolazione prettamente formale della lotta) quando siamo uno dei pochi collettivi di compagne (l’unico romano) che ha preso pubblicamente parola contro la giornata del 26, opponendosi con forza a questa meschina manovra che sta minando da dentro le fondamenta del femminismo rivoluzionario per consegnarlo, attraverso la sua riduzione a lotte categoriali perfettamente compatibili con il capitalismo, nelle mani, non della borghesia tout court, ma della borghesia neoliberista? Perché citare proprio noi che siamo tra le poche, da ormai troppo tempo, a scendere in piazza contro le guerre imperialiste e la strumentalizzazione dei diritti e delle rivendicazioni delle donne e della violenza da cui esse sono oppresse?
Altra critica che rispediamo al mittente è quella di definirci “attiviste”. Tale termine è per noi il più infimo di quelli utilizzabili per riferirsi alle militanti di un gruppo politico. Un termine tutto neoliberista che sancisce la morte del fare politico a vantaggio di una visione depoliticizzata del conflitto e della critica, e perciò tutta interna all’attuale sistema e al pilastro del volontariato/lavoro gratuito autovalorizzante .
Dal momento che tale problema di linguaggio, cioè di ordine simbolico, non vi è sicuramente estraneo, non possiamo recepire l’uso di tale termine che come critica nei nostri confronti. L’unica altra ipotesi sarebbe la totale ignoranza del nostro lavoro e discorso politico, ipotesi che non prendiamo neanche in considerazione, confidando nella serietà del vostro articolo e delle critiche che contiene.
Arriviamo dunque al punto: le ragioni che vi hanno spinto a citare proprio noi come cattivo esempio. Considerate forse il nostro lavoro politico più pericoloso della deriva culturalista portata avanti dal femminismo della differenza?
Leggendo i vostri contributi al dibattito politico ci rendiamo conto che la vostra posizione è sostanzialmente inconciliabile con la lotta femminista. Al di là delle belle parole e delle dichiarazioni di principio, del tipo “la lotta di genere non può essere subordinata alla lotta di classe ma deve svolgersi contemporaneamente ad essa”, non è assolutamente chiaro come esse possano concretizzarsi nella misura in cui la lotta femminista si articola necessariamente anche all’interno della classe.
Sono anni che sosteniamo con forza l’urgenza di combattere la deriva neoliberista che stanno assumendo i movimenti “femminili”, proprio a partire dalla consapevolezza che l’insieme donne è oggi pesantemente attraversato dalla classe. I continui appelli all’unità delle donne che ci propinano quotidianamente sono nient’altro che il contro-altare degli appelli all’unità nazionale a guida PD. “Se non ora quando” e “Non una di meno” (salvo isolate eccezioni troppo deboli per fare la differenza) come articolazione femminilista del PD partito della nazione.
Ciò non significa tuttavia, come voi invece provate a far credere, che la lotta di classe sia in grado di dispiegare il c.d. effetto trascinamento e risolvere da sola le contraddizioni di genere, cioè destrutturare e superare i ruoli sessuati.
Dal vostro articolo emerge l’adesione a ciò che è definito come “questione femminile” e l’estraneità a ciò che invece ha fatto irruzione nel secondo novecento come “oppressione di genere”. Proponete di assorbire la liberazione della donna nella liberazione della classe. Non siete assolutamente in grado di differenziare le giuste critiche al pensiero borghese e differenzialista, dall’analisi del femminismo rivoluzionario del secondo novecento. Non a caso non viene citata neanche una compagna del femminismo materialista europeo. Sarà nostro piacere fornirvi alcuni testi base.
Non c’è neanche un paragrafo, tra i tanti che avete con cura redatto, che spieghi il vostro modo di intendere la contraddizione di genere e il femminismo. Non una parola su cosa sia per voi il patriarcato e sul suo modo di costruire il maschile e il femminile in funzione del sistema socio-economico. Non una parola sul significato del lavoro riproduttivo nella teoria anticapitalistica.
Il vostro modo di intendere il femminismo si dovrebbe desumere dagli esempi storici ottocenteschi che portate, comprese le suffragette (che per vostra informazione finirono in molte a sostenere le campagne imperialiste)? Dovremmo desumerlo, a contrario, dalle critiche all’emancipazionismo e a quello che definite neofemminismo? E come mai esercitate la memoria storica così selettivamente identificando il fondamento del femminismo degli anni ’60 nella sola rivoluzione sessuale?
I (falsi) movimenti come quelli del 26 costituiscono per voi un’ottima occasione per relegare di nuovo in secondo piano la liberazione delle donne. Nell’opposizione al femminismo neoliberista voi trovate un’ottima scusa per riproporre la teoria dei due tempi.