Marco Riformetti | La concezione marxista dello Stato come strumento di lotta politica
Da Marco Riformetti, Lenin e la filosofia politica di Stato e rivoluzione, Tesi di laurea in filosofia, Pisa, 2017
Stato e rivoluzione esordisce subito con l’esposizione del problema: ristabilire la dottrina marxista dello Stato contro il kautskismo imperante nella socialdemocrazia europea e russa che usa il nome di Marx per tradirlo e per tradire, con lui, la rivoluzione in atto
“Accade oggi alla dottrina di Marx quel che è spesso accaduto nella storia alle dottrine dei pensatori rivoluzionari e dei capi delle classi oppresse in lotta per la loro liberazione. Le classi dominanti hanno sempre ricompensato i grandi rivoluzionari, durante la loro vita, con implacabili persecuzioni; la loro dottrina è stata sempre accolta con il più selvaggio furore, con l’odio più accanito e con le più impudenti campagne di menzogne e di diffamazioni. Ma, dopo morti, si cerca di trasformarli in icone inoffensive, di canonizzarli, per cosi dire, di cingere di una certa aureola di gloria il loro nome) a «consolazione» e a mistificazione delle classi oppresse, mentre si svuota del contenuto la loro dottrina rivoluzionaria, se ne smussa la punta, la si svilisce” [1]
A Lenin non è stata riservata la sorte della canonizzazione, bensì quella della demonizzazione: da morto come da vivo. Per non parlare dell’esperienza rivoluzionaria dell’Ottobre. Se questo è avvenuto è perché Lenin sconta un fatto: le sue non sono innocue riflessioni su innocui argomenti destinate ad innocue letture in innocui salotti popolati da innocui intellettuali; le sue sono idee che si sono impadronite delle masse e sono diventate forza materiale [2], idee che hanno sconvolto per lungo tempo il mondo e ancora oggi costituiscono il demone che agita i sonni altrimenti tranquilli degli uomini e delle donne delle classi dominanti
“Qui si può vedere chiaramente perché Lenin sia il pensatore politico che inaugura il secolo. Trasforma la vittoria, il reale della politica rivoluzionaria, in una condizione interna della teoria [3]. Il secolo scorso, fra il 1917 e la fine degli anni ‘70, non è affatto un secolo di ideologie. Di immaginario o di utopie, come oggi sostengono i liberali. È la passione per il reale, per ciò che si può fare subito, qui ed ora. […] Il secolo è vissuto come il secolo delle vittorie, dopo un millennio di tentativi e di fallimenti” [4]
Quella descritta da Alain Badiou è una condizione che un giovane di oggi può avere difficoltà ad immaginare. Eppure è stata fino in tempi non poi così remoti la condizione viva nelle aspettative di centinaia di milioni di persone sparse per tutto il pianeta. E resta ancora oggi un’ipotesi pienamente viva nelle contraddizioni che il capitalismo è impotente ad eliminare e che anzi riproduce costantemente riproducendo sé stesso.
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Lenin intende ripristinare la dottrina marxista dello Stato, abbiamo detto. E cosa afferma, in sostanza, questa dottrina? Che lo Stato non è un elemento neutro che possa essere usato a piacimento; tanto meno è l’espressione di un patto tra cittadini che decidono di cedere la propria libertà per aumentare la propria sicurezza [5].
Certo, lo Stato è espressione di un conflitto sociale, ma dentro questo conflitto agisce come parte e non al di sopra delle parti
“Esso è piuttosto un prodotto della società giunta a un determinato stadio di sviluppo, è la confessione che questa società si è avvolta in una contraddizione insolubile con se stessa, che si è scissa in antagonismi inconciliabili che è impotente a eliminare. Ma perché questi antagonismi, queste classi con interessi economici in conflitto, non distruggano sé stessi e la società in una sterile lotta, sorge la necessità di una potenza che sia in apparenza al di sopra della società, che attenui il conflitto, lo mantenga nei limiti dell’“ordine”; e questa potenza che emana dalla società, ma che si pone al di sopra di essa e che si estranea sempre più da essa, è lo Stato” [6]
Su come sia avvenuto questo processo di “autonomizzazione” dello Stato dal resto della società si possono avanzare – e si sono avanzate – le più diverse ipotesi: quella che lo sviluppo della centralizzazione delle funzioni, nonché della monopolizzazione del potere repressivo (Weber) e simbolico-ideologico (Bourdieu), possa essere avvenuta attraverso un libero contratto tra cittadini consenzienti è di gran lunga la meno realistica, sebbene riscuota amplissimi e incrollabili consensi nel mondo accademico.
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Lenin scrive Stato e rivoluzione nella tarda estate del 1917 durante il periodo di latitanza seguito alle giornate insurrezionali del 3 e 4 luglio, mentre è aiutato da amici del partito a sfuggire al mandato di cattura che lo ha colpito. Il materiale necessario alla realizzazione di questo testo è già stato accumulato [7]; da tempo Lenin sente infatti l’esigenza di redigere un testo “sulla dottrina marxista dello Stato” e “sui compiti del proletariato nella rivoluzione”; se si risolve a scriverlo proprio in questo momento e perché “c’è aria di rivoluzione” e il partito rivoluzionario dovrà essere pronto ad assumere fino in fondo le proprie responsabilità; ciò nonostante, Stato e rivoluzione avrà un respiro profondamente strategico e niente affatto contingente.
È noto che il testo di Lenin sullo Stato era stato pensato inizialmente come strumento di polemica verso le posizioni «ultra-sinistre» che erano emerse l’anno precedente (e che in verità erano in circolazione già almeno da due anni)
“Alla Conferenza di Berna, nella primavera del 1915, Bukharin aveva presentato delle «tesi» particolari che Lenin aveva respinto come «semi-anarchiche» e che più tardi doveva qualificare con il termine «economismo imperialistico». In quell’occasione Bukharin era rimasto isolato, ma dopo qualche mese alcune sue tesi erano state accettate e fatte proprie da Piatakov e dalla Bosc, i quali avevano preso ad agitarsi per esse organizzando un nuovo gruppo che, con collegamenti e diramazioni internazionali, non mancava di esercitare una certa influenza nel partito” [8]
Strada facendo Lenin si rende conto che sul tema dello Stato sono molto più pericolose (e diffuse) le «posizioni di destra» sostenute da Kautsky e dai menscevichi russi che non quelle di «sinistra» sostenute dal “gruppo di Bukharin”; decide quindi di indirizzare la propria battaglia politica nei confronti della prima posizione e di avvicinarsi alla seconda.
Nella decisione di scrivere Stato e rivoluzione c’è dunque anche l’esigenza – come era stato nel caso di Materialismo ed empiriocriticismo – di condurre una battaglia politica contingente; là, contro il “militarismo” otzovista che si ispirava alla filosofia neo-empirista e idealista di Ernst Mach e Richard Avenarius; qua, contro l’opportunismo della classe dirigente socialdemocratica internazionale – il kautzkismo, come lo chiama Lenin – che propone di governare il cambiamento rivoluzionario conservando inalterate le forme istituzionali borghesi (e da qui la polemica sui Soviet e sulle forme della democrazia rivoluzionaria).
Sarebbe tuttavia molto miope considerare Stato e rivoluzione un’opera “contingente”; è certamente vero che le battaglie teoriche di Lenin sono sempre legate alla dinamica concreta dello scontro politico, ma è altrettanto vero esse che non cedono mai al tatticismo e non rinunciano mai ai principi, ed in particolare al principio fondamentale di ogni rivoluzionario: promuovere il processo rivoluzionario e combattere contro ciò che lo ostacola.
Per questa ragione Lukacs potrà dire che a caratterizzare l’intera opera di Lenin è l’immanenza della rivoluzione, anche quando questa può apparire lontanissima, del tutto non contingente
“Proprio l’attualità della rivoluzione, che è l’idea fondamentale di Lenin, è anche il punto che lo collega decisivamente a Marx. Poiché il materialismo storico, come espressione concettuale della lotta di liberazione del proletariato, poteva essere afferrato e formulato teoricamente solo in quel determinato momento storico in cui la sua attualità pratica fosse venuta all’ordine del giorno della storia” [9]
Questo punto è di grande importanza. L’apparente spregiudicatezza tattica di Lenin è sempre in realtà guidata da un principio rivoluzionario, mai da un principio “utilitaristico”. Non è il vantaggio immediato del partito o, meno che mai, il proprio vantaggio che guida le scelte di Lenin la cui stella polare è sempre quella dell’interesse generale del movimento rivoluzionario: la ragione rivoluzionaria prevale su qualsiasi ragione utilitaria.
Note
[1] Lenin [25], pag. 365.
[2] Marx [1976]: “L’arma della critica non può certamente sostituire la critica delle armi, la forza materiale deve essere abbattuta dalla forza materiale, ma anche la teoria diviene una forza materiale non appena si impadronisce delle masse”, pag. 197.
[3] Con questo, Badiou intende dire che la realtà deve irrompere nella teoria.
[4] Badiou [2008], pag. 12.
[5] Un ritornello molto en vogue ancora oggi in epoca di leggi liberticide spacciate per provvedimenti contro la paura (su tutti, l’USA Patriot Act). Sul tema della paura cfr. per fare alcuni esempi, Bauman [2009], Quadruppani [2013], Bordoni [2016].
[6] Lenin [25], pag. 366.
[7] Si tratta della raccolta che è stata chiamata Il marxismo e lo Stato alla quale Lenin sembrava essere particolarmente attaccato: “Entre nous: se mi fanno fuori, vi prego di pubblicare il mio opuscolo Il marxismo e lo Stato (rimasto a Stoccolma). È un quaderno rilegato, con una copertina azzurra. Tutte le citazioni di Marx ed Engels, così come quelle di Kautsky contro Pannekoek, sono state raccolte. Vi è una serie di note e di osservazioni, di formulazioni. Penso che si possa pubblicare in una settimana di lavoro. Lo considero importante, perché non solo Plekhanov ma anche Kautsky hanno imbrogliato il tutto. Condizione: tutto questo resti assolutamente entre nous.’”, Lenin [36], pag, 333.
[8] Gerratana [1970], Pag. 19. Si osservi come nelle proprie «tesi» Bukharin respingesse anche il principio del diritto delle nazioni all’auto-determinazione (che invece costituisce uno dei punti fondamentali del pensiero di Lenin).
[10] Lukacs [1970], pag. 13 (corsivo mio). La formulazione di Lukacs è particolarmente efficace nel mostrare che ogni teoria è sempre storicamente e socialmente determinata e dunque nel mostrare quanto sia ridicola l’accusa di “contingenza” che di tanto in tanto è stata rivolta a Lenin: tutte le idee nascono in un ben preciso contesto storico e sociale. Il limite di certa filosofia è proprio quello di negare questo carattere delle idee e di collocarle fuori dal tempo. Sulla “genesi storico-sociale delle categorie” cfr. Preve [2013].