Marco Riformetti | I «Quaderni Rossi», Piazza Statuto e la nascita dell’operaismo
Tratto da Marco Riformetti, Tutti dentro con il biglietto del movimento. Gli “autoriduttori” nelle controculture giovanili degli anni ‘70, Tesi di laurea magistrale in “Sociologia e ricerca sociale”, maggio 2022
Come accennato, nel 1962 a Torino opera già da un anno una rivista che «intreccia resoconti del lavoro operaio, elementi di discussione politico-sindacale e spunti teorici» (SCAVINO [2017]) e che pur avendo vita relativamente breve è destinata ad esercitare grande influenza nel dibattito politico di lì a venire: si tratta dei «Quaderni Rossi».
L’atteggiamento dei «Quaderni Rossi» verso la rivolta di Piazza Statuto è ambivalente: per un verso, l’espressione di pura rabbia sociale emersa nelle “giornate di luglio” viene vissuta come un limite; tirato in ballo all’interno del suo stesso partito [1] da Vittorio Foa (che peraltro aveva scritto un articolo per il primo numero dei Quaderni) Raniero Panzieri si dissocia in modo netto e un po’ sorprendente dagli eventi
«Non ho bisogno di ripetervi che i “Quaderni Rossi” non hanno assolutamente nulla a che fare con questa deplorevole vicenda. Anzi, incidenti come quelli di Piazza Statuto, in quanto manifestazioni di anarchismo sottoproletario e occasioni di provocazioni poliziesche e reazionarie, tendono a deviare il corso della lotta operaia dai suoi obiettivi e appaiono perciò in perfetta antitesi alla linea da noi sostenuta» [2] (QUADERNI PIACENTINI [1962a])
Per altro verso “Piazza Statuto” finisce per essere un potente stimolo di riflessione sulle trasformazioni di vecchie (e sull’emersione di nuove) figure sociali in quello che viene definito il “neocapitalismo” (QUADERNI ROSSI [1961a]), una riflessione che approderà alla teorizzazione di grande successo dell’operaio-massa (TRONTI [2006]). Non prima, però, che si sia consumata la rottura tra il principale animatore dell’impresa – Raniero Panzieri (che peraltro morirà di lì a poco, nel 1964) – e la componente che attraverso la fondazione della rivista «Classe Operaia» va ad inaugurare il filone del cosiddetto “operaismo”.
La lettura di “Piazza Statuto” che verrà data dall’operaismo è quella che in quel contesto ha fatto la sua prima apparizione pubblica quella dimensione sociale e politica che in seguito verrà definita “autonomia operaia”
«Piazza Statuto è l’annuncio che i soggetti e le forme della conflittualità stanno cambiando, che i tempi di questi non saranno più quelli di una periodicità meccanica ma piuttosto quelli di una conflittualità permanente che crescerà fino alla lotta urbana di Corso Traiano del luglio 1969» (BALESTRINI, MORONI [2015], pag. 136)
Non a caso Potere Operaio parlerà di “Piazza Statuto” come del proprio congresso fondativo
«Perché ricominciamo daccapo dopo dieci anni da quella piazza Statuto, mai abbastanza maledetta da padroni e riformisti, che è stata il nostro congresso di fondazione?» (POTERE OPERAIO [1973a])
Ci siamo soffermati un po’ sui fatti di Piazza Statuto perché malgrado si tratti di un episodio tutto sommato minore dal punto di vista oggettivo esso ha assunto una grande rilevanza dal punto di vista simbolico e in un certo senso può essere considerato lo spartiacque tra un prima e un dopo, con il dopo inteso come la nascita di movimenti ed esperienze di lotta non riconducibili alla sinistra istituzionale che diventeranno sempre più significative e tra le quali ad un certo punto troveremo anche quella delle autoriduzioni che infatti riceverà dal PCI un trattamento del tutto analogo a quello riservato ai ribelli di Piazza Statuto.
Note
[1] PSI.
[2] Pubblicato da «l’Avanti» del 13 luglio 1962.