Marco Riformetti | Umberto Massola e gli scioperi del marzo-aprile 1943. Lo sciopero comincia (intorno) alle 10
Tratto da Marco Riformetti, Umberto Massola e gli scioperi del marzo-aprile 1943, Paper per l’esame di Storia dell’Italia Contemporanea, Storia e civiltà, Pisa, giugno 2022
Esaminare nel dettaglio tutti i passaggi attraverso i quali – tra il 1941 e il 1943 – si ricostituisce la rete antifascista a Milano e Torino amplierebbe troppo i limiti di questa ricerca. È tuttavia un fatto che questa ricostruzione avviene e che il partito comunista, nonostante adotti criteri organizzativi molto selettivi, alla vigilia degli scioperi di marzo può contare su una rete di centinaia di attivisti distribuiti in tutto il tessuto industriale e urbano.
Gli scioperi del marzo-aprile 1943 non sono in assoluto i primi scioperi contro il fascismo, ma piuttosto «la prima grande manifestazione di massa contro la guerra e contro il fascismo» [43]; lo fa capire lo stesso Umberto Massola quando ricorda che nel gennaio del 1943 «l’Unità» aveva scritto
« …bisogna che gli scioperi e le numerose agitazioni scoppiate a Milano, Torino, ecc. siano divulgate, siano di esempio a tutti i lavoratori…» [44]
Se fin da gennaio «l’Unità» parla di “numerose agitazioni” vuol dire che la classe operaia è già in movimento. Del resto, lo abbiamo visto, Massola parla di agitazioni operaie già nel primo numero del «Grido di Spartaco» (cioè nel 1941).
Il ruolo del partito è ovviamente ben evidenziato da Massola secondo il quale la «direttiva trasmessa dal nostro partito di suscitare un movimento di scioperi» è stata
«approvata ed accolta con entusiasmo non solo dagli operai comunisti, ma anche dagli operai socialisti, cattolici e da quelli senza partito» [45]
Le condizioni della guerra rendono più efficace l’opera degli attivisti antifascisti
«…il malcontento aumentava, la gente, ora, parlava di più ed imprecava contro il fascismo e la guerra. Il nostro lavoro diventava più facile [46]» [47]
Quello che accade nel marzo del 1943 è che il risentimento degli operai contro il fascismo e contro la guerra viene ora organizzato e concentrato in un atto ben preciso anche dal punto di vista simbolico: lo sciopero delle fabbriche, ivi comprese quelle che producono armamenti.
Sarà lo stabilimento FIAT di Mirafiori a fermarsi per primo e lo farà il 5 marzo alle 10, nel momento in cui è prevista la quotidiana attivazione del segnale prova-diallarme [48]. Dall’8 marzo lo sciopero si estende rapidamente all’intera città di Torino e dal 24 marzo anche a Milano; scioperano in certa misura anche i tecnici e persino gli operai fascisti.
A volte è un gruppo di lavoratori che da il segnale della fermata, a volte è addirittura un singolo lavoratore
«…io lavoravo al fondo dell’officina, e voltavo la schiena a tutti gli operai. Si decise che il segnale dovevo darlo io, fermando il mio tornio e girandomi verso tutti gli altri compagni di lavoro. Alle 10 fermai la macchina, mi voltai e incrociai in un colpo solo gli occhi di tutti che mi puntavano: dopo pochi secondi tutte le macchine erano ferme» [49]
La ricostruzione di Massola del 1973 [50] (che riprende ed estende quella del 1950 [51], più vicina agli eventi) è molto dettagliata e si avvale dei documenti d’epoca conservati presso l’Archivio Centrale dello Stato (ACS). L’attendibilità di Massola è tale che la sua ricostruzione costituisce una delle fonti principali della banca dati sugli scioperi del 1943-45 [52] (facendo una ricerca “per fonte” si ricava che di 339 scioperi mappati per il periodo marzo-aprile 1943 ben 137 sono documentati dal solo Massola [53]).
La risposta di Mussolini agli scioperi di Torino è molto dura: gli operai vengono equiparati a disertori «che abbandonano il proprio posto di fronte al nemico» [54] e che devono essere trattati come tali. Ed è proprio la richiesta di “indennità di sfollamento” che fa uscire dai gangheri Mussolini il quale dichiara che non darà neppure un centesimo. Siamo all’11 marzo e gli scioperi sono solo all’inizio. Nelle settimane successive il movimento continuerà ad ampliarsi coinvolgendo anche le principali fabbriche di Milano. L’importanza degli scioperi è stata terreno di scontro tra le diverse sensibilità storiografiche; esistono corposi manuali di storia contemporanea scritti da docenti universitari che riportano una o nessuna riga a proposito degli scioperi. Ma per fortuna esistono anche manuali della scuola secondaria superiore che hanno dedicato ampio spazio agli scioperi [55] e alla loro importanza nell’accelerare la crisi del fascismo (per esempio spingendo il distacco dei capitalisti da un regime ormai incapace di fronteggiare la disfatta in arrivo).
Note
[43] Cfr. Luigi Longo, Prefazione a MASSOLA [1950].
[44] cfr. «l’Unità» del 31 gennaio 1943 in MASSOLA [1950].
[45] MASSOLA [1973], pag. 60-61.
[46] Archivio Piero Franchini, Testimonianze di operai delle fabbriche di Sesto San Giovanni, cit., pp. 66-67.
[47] MAGNANI [2010], pag. 113.
[48] Che però quel giorno non suona perché qualcuno ha spifferato le intenzioni dei lavoratori alla direzione.
[49] Testimonianza di Carlo Peletto, operaio della Fispa, in MASSOLA [1973], pag. 74 e FINZI [2013], pag. 15.
[50] MASSOLA [1973].
[51] MASSOLA [1950].
[52] Bibliografia e legenda fonti (per tutti i cicli di scioperi) (link).
[53] Massola ha scritto solo sugli scioperi del 1943, ma la mobilitazione dei lavoratori è proseguita fino alla fase pre-insurrezionale dell’aprile 1945. In complesso il numero di scioperi mappati dalla banca dati è di 2477.
[54] MASSOLA [1973], pag. 82.
[55] BONTEMPELLI, BRUNI (1995), pag. 803.