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Petra Krause | Lettera al figlio Marco

ho sempre pensato che l’unica cosa che si potesse fare volentieri in carcere è scrivere delle lettere. Invece la cosa è diversa. Faccio fatica a scrivere perché mi ripugna l’idea di censuratori anonimi e di parte, con cui non ho nulla in comune ma che automaticamente sono coinvolti nel dialogo.
Solo per questo – e non perché non vorrei comunicarti tante cose – in questi tre mesi ti ho scritto solo due volte. Mi rendo conto che ciò è stato sleale verso chi è fuori in misura in cui io mi ricordo che sempre, quando un compagno o una compagna veniva incarcerato, facevo di tutto per immaginarmi come passava le sue giornate, come reagiva alla gabbia. E nonostante tutti i documenti letti sull’argomento, capivo poco. E siccome conoscere le cose anziché doversele immaginare è senz’altro meglio, ti descrivo la mia giornata “media”.