Antiper | Elezioni egiziane. Un passo nella costruzione di una nuova leadership regionale?
L’esito delle elezioni egiziane e la vittoria del candidato dei Fratelli Mussulmani (Mursi) contro Shafiq (l’ultimo Primo Ministro dell’era Mubarak), così come la vittoria elettorale della Fratellanza Mussulmana in Tunisia (e se vogliamo, anche il sempre maggiore protagonismo nelle recenti elezioni libiche e nella ribellione in Siria), prefigurano l’emergere di una nuova leadership politica regionale, religiosa ma non ostile agli USA; un “islam politico” ben diverso da quello contro cui l’”Amerika” aveva lanciato i suoi strali (lo “scontro di civiltà” di Huntington) e le sue bombe (la “guerra al terrorismo” di Bush).
Un “islam politico” che non brucia le bandiere del “Satana yankee” e che vede gli Stati Uniti come alleato nel ridisegnare lo scenario del Grande Medio Oriente. D’altronde, lo stesso Obama, già nel 2009, nel suo discorso all’Università del Cairo rivendicava “Un nuovo inizio fra mussulmani ed USA che non devono essere in competizione” e auspicava“l’inaugurazione di una nuova era. Islam e USA hanno interessi comuni che possiamo realizzare solo insieme” [1]. Se questa nuova era è iniziata, le rivolte del 2011 ne sono state la levatrice.
Nello scenario politico che si presenta gli USA tentano di rimodellare il proprio ruolo nella regione, dovendo fronteggiare le persistenti contraddizioni che emergono dalle aree non (ancora) domate (principalmente Siria, Iraq, Afghanistan, Iran). La parziale stabilizzazione della situazione irachena, ad esempio, è stata resa possibile anche grazie a due fattori come l’alleanza con la componente sciita filo-iraniana e la cooptazione di alcune componenti della minoranza sunnita (principale animatrice della Resistenza dopo l’invasione del 2003). Ma l’alleanza con gli sciiti, di riflesso, tende a rafforzare l’Iran che viene così ad avere un potente deterrente contro un eventuale attacco diretto (che potrebbe condurre alla destabilizzazione congiunta di Iran e Iraq – più Siria e Libano – con effetti geopolitici imprevedibili, nell’area e su scala globale, date anche le posizioni di Cina e Russia).
Gli USA avevano bisogno di ridefinire gli equilibri globali del Grande Medio Oriente, ma a causa degli alti costi subiti nella prima fase (la fase, diciamo, “irachena” e “afghana”) e a causa del nuovo scenario apertosi dopo il crack di Wall Street del 2008, non potevano portare avanti la stessa strategia portata avanti nell’era Bush (la “guerra al terrorismo”); almeno, non integralmente. Del resto, in Tunisia ed Egitto la situazione poteva essere gestita in modo sostanzialmente indolore attraverso un pacifico – e assai meno costoso – “passaggio delle consegne”. Questo “passaggio delle consegne” era necessario ed urgente perché non si poteva più usare vecchi arnesi come Mubarak o Ben Alì, ormai invisi alle popolazioni e non più in grado di interpretare il ruolo di interlocutori minimamente credibili. Era necessario un cambiamento di leadership che potesse apparire come espressione del superamento “concreto” del precedente assetto. Ovviamente, un cambiamento “sovrastrutturale” che non intaccasse minimamente l’assetto “strutturale” (e gli interessi occidentali) nell’area. Ecco perché, sebbene in Egitto e Tunisia abbia partecipato solo parzialmente alla cosiddetta “primavera”, la Fratellanza Mussulmana è stata capace di raccogliere un consenso importante e di diventare, dopo anni di illegalità, uno dei principali interlocutori dell’Occidente nel “dialogo” con il Mondo Arabo.
Intanto le condizioni sociali ed economiche degli egiziani peggiorano giorno dopo giorno e si stima che ormai il 20% della popolazione egiziana viva sotto la soglia di povertà. Da un lato c’è la speculazione mondiale sui prezzi dei prodotti agricoli (grano, mais, cereali in genere) che ha aggravato una crisi alimentare il cui impatto è tanto più grave in un paese ormai da anni dipendente dalle importazioni di generi di prima necessità come il grano (di cui una volta l’Egitto era addirittura esportatore). Dall’altro lato c’è la crisi capitalistica, in particolare dell’Eurozona (con l’Italia che rappresenta il principale partner commerciale europeo dell’Egitto, secondo solo agli USA a livello mondiale), che sta avendo un effetto pesante sull’economia egiziana con la caduta delle principali entrate (turismo e rimesse dei lavoratori immigrati, soprattutto dall’Europa).
I dati riguardanti l’andamento del PIL [2] confermano questa situazione. Dopo una importante fase di crescita negli anni 2000, con punte di oltre il 7% nel 2007-2008, il PIL egiziano ha subito un forte rallentamento a causa delle conseguenze del crack di Wall Street del 2008 (con un netto calo nel 2010 e un leggero “rimbalzo” nel 2011, attestandosi a poco più del 5%), con una previsione di crescita per il 2012 non superiore all’1%. Il che significa, per il popolo egiziano, un ulteriore peggioramento delle condizioni di vita e un ulteriore crescita del disagio sociale. In che misura e quanto a lungo l’operazione di “maquillage” che ha condotto al Governo la Fratellanza Mussulmana possa bastare a placare la tensione sociale alimentata dalla crisi è tutto da vedere. Certo è che, almeno per il momento, il sistema di potere sembra essere riuscito, sia pure con qualche piccolo “scricchiolio” [3], a portare avanti la propria strategia di rinnovamento formale senza troppi contraccolpi (anche grazie al capillare controllo sociale espresso dall’esercito il cui ruolo, non a caso, è ulteriormente cresciuto dopo la rivolta del 2011).
Luglio 2012
Note
[1] http://www.repubblica.it/2009/05/sezioni/esteri/obama-presidenza-8/discorso-cairo/discorso-cairo.html
[2] Tasso di crescita PIL Egitto (link)
[3] Il 15 giugno scorso, l’Alta Corte Costituzionale egiziana aveva dichiarato illegittima la legge elettorale usata per eleggere l’attuale Parlamento, dichiarandolo di fatto sciolto. Il 10 luglio il neo-presidente Morsi ha convocato Parlamento in una seduta di 12 minuti ed ha emanato un decreto nel quale si dichiara l’intenzione di ricorrere in appello e di considerarsi comunque insediati fino a tale appello. La Corte ha però immediatamente sospeso questo decreto dichiarando l’inappellabilità della propria sentenza.