Günter Figal | Disgustose e terribili quelle frasi del mio Heidegger
Dopo le rivelazioni sull’antisemitismo dei “Quaderni neri” parla il presidente della Società heideggeriana “Ma la filosofia del XX secolo non è pensabile senza di lui”
18/03/2014 – intervista a La Stampa
L’idea che l’infatuazione di Martin Heidegger per il nazionalsocialismo sia stata breve e circoscritta va sepolta per sempre. I Quaderni neri del filosofo tedesco stanno facendo discutere furiosamente gli studiosi perché ormai è chiaro, spiega Günter Figal, presidente della Società heideggeriana, che alla fine degli Anni 20 nel suo pensiero avviene un «cambiamento significativo» che trasforma il tentativo di rifondare la filosofia, in Essere e tempo, nel vagheggiamento di una rifondazione nazionale, incentrata sul Volk. E anche quando prende le distanze dal nazismo, alla fine degli Anni 30, lo fa solo dal punto di vista filosofico, non morale o politico. Non ammette mai, sottolinea Figal, che i nazisti sono dei criminali, li ritiene soltanto una delle tante, odiate declinazioni della modernità. E poi c’è il suo antisemitismo, forte e radicato: ci sono frasi «disgustose e terribili» che Figal non avrebbe mai pensato di trovare in Heidegger, che lo hanno «rattristato».
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Professor Figal, dopo la pubblicazione dei Quaderni neri si può parlare di un’«eredità avvelenata», come fa la Zeit?
«Di quale eredità parliamo? Dell’immensa opera di Heidegger, dagli inizi degli Anni 20 agli Anni 70? Non si tratta di un sistema di pensiero chiuso. È molto chiaro che dalla fine degli Anni 20 assistiamo a un cambiamento significativo nel suo pensiero: Heidegger rinuncia al fondamentale orientamento individuale dell’Esserci che si trova in Essere e tempo e adotta il concetto del Volk, della collettività. I Quaderni neri riguardano soltanto quest’ultimo orientamento. Sono convinto che testi come Essere e tempo non debbano essere interpretati diversamente rispetto a come sono stati interpretati sino a oggi. Anche i testi del dopoguerra sono molto diversi rispetto a quanto Heidegger ha scritto negli Anni 30. Trovo ad esempio interessante che, immediatamente dopo la guerra, riprenda nuovamente i temi fenomenologici degli Anni 20. Accanto a Husserl, Heidegger è il più importante filosofo della fenomenologia. Ma negli Anni 30 l’aveva dimenticata».
Si può anche affermare che i Quaderni neri rappresentino per Heidegger uno sviluppo del pensiero della storia dell’essere?
«Sì, i Quaderni neri riguardano solo il pensiero della storia dell’essere. Mi spiego. Con Essere e tempo Heidegger ha scritto uno dei più importanti testi della filosofia moderna, in cui propone che la filosofia ricominci nuovamente da capo; per lui si trattava di concedere una possibilità alla filosofia del vivente, di rifondarla. Negli Anni 30 tuttavia ha reinterpretato politicamente questo pensiero, “dobbiamo ricominciare”, e lo ha legato a un programma di rifondazione nazionale. Il concetto di Essere e tempo resta a tutt’oggi una sfida filosofica produttiva. Rispetto a ciò, trovo i sogni di rifondazione nazionale degli Anni 30, che rientrano nel concetto della cosiddetta storia dell’essere, ideologici e problematici. Sono sogni che probabilmente hanno anche a che fare col fatto che, dopo aver perso i suoi migliori allievi, si sia isolato sempre di più. Isolamento e sogni di collettività non di rado coincidono».
Ma l’idea che Heidegger abbia avuto simpatie per il nazionalsocialismo solo per un breve periodo dovrà essere sepolta per sempre.
«Lei ha perfettamente ragione. Sinora, l’opinione comune era che, per meno di un anno, Heidegger si fosse entusiasmato per il nazismo e che poi avesse preso le distanze in modo molto netto. Ora sappiamo che non è stato così semplice. Sappiamo che prima tentò di aderire filosoficamente al nazionalsocialismo, per poi distaccarsene nella seconda metà degli Anni 30, giacché era espressione di quella modernità che riteneva fatale. Il punto è, dunque, che la sua presa di distanza dal nazismo non è stata morale o politica. Per Heidegger non contava il fatto che il nazionalsocialismo fosse un regime criminale, ma che appartenesse alla fase nichilista della “metafisica”, come il bolscevismo, la Chiesa cattolica o il mondo occidentale, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Per lui, fondamentalmente, era tutto la stessa cosa, tutto era espressione del male. L’unica cosa che Heidegger continua a evocare per esorcizzare quel male è l’esperienza dell’Essere, attraverso cui tutto deve cambiare. Esperienza che lui da solo pensa e prepara. In un certo senso Heidegger ha tentato, come Nietzsche, di rappresentare “un destino”. Ma nessun individuo dovrebbe mai desiderare di essere un destino. È una sopravvalutazione di se stessi, uno sforzo che va al di là delle forze del singolo».
Quindi anche il nazismo alla fine non è una soluzione, per Heidegger?
«Esatto. È necessario osservare il rapporto di Heidegger con il nazionalsocialismo nel contesto della sua critica alla razionalità tecnico-scientifica della modernità. All’inizio pensa che il nazionalsocialismo rappresenti un’alternativa possibile a questa razionalità, poi si convince che anche il nazismo sia una sua declinazione. Il problema fondamentale del pensiero di Heidegger negli Anni 30 è questa visione storica totalizzante che condanna indifferentemente qualsiasi cosa abbia a che fare con la scienza e con la tecnica e lo paragona alla sciagura, all’infelicità, all’infondatezza, allo sradicamento. Un quadro che non lascia spazio per distinguo politici e morali».
Uno sviluppo che è quindi espressione del suo antimodernismo?
«Non solo. Per Heidegger la modernità coincide con la “metafisica” degli ultimi 2500 anni, va da Platone e Aristotele al mondo dominato dalla scienza e dalla tecnica».
In questa visione storica degli Anni 30 anche l’ebraismo svolge un ruolo maggiore? Il suo antisemitismo sembra più forte rispetto a quanto noto sinora, sembra addirittura un elemento fondante della sua filosofia.
La voce di Figal per un attimo si incrina: «Le frasi antisemite dei Quaderni neri sono disgustose e terribili. Mi hanno rattristato. Non avrei mai pensato di trovare cose del genere in Heidegger. Di fronte a queste frasi non bisogna nascondersi, bisogna interrogarsi, chiedersi in che contesto sono state pensate. È un compito che abbiamo davanti. Per me è una questione aperta come vadano interpretate esattamente le frasi antisemite di Heidegger, anche rispetto alla sua critica alla modernità».
Molti dei suoi allievi più famosi erano ebrei, Hannah Arendt ad esempio. Come ha fatto a conciliare questo antisemitismo con il suo insegnamento, con i suoi sentimenti?
«Non sappiamo molto dei pensieri privati di Heidegger negli Anni 20. Le affermazioni che sono state pubblicate in questi giorni, appartengono alla fine degli Anni 30. Sappiamo però che quell’Heidegger che insegnava negli Anni 20 a Marburg, e che aveva allievi meravigliosi attorno a sé, ha vissuto nel dialogo con questi allievi. Era un’altra fase della sua vita».
Alla luce dei Quaderni neri, Heidegger rimase fedele a se stesso quando dopo la guerra menzionò a malapena lo sterminio degli ebrei?
«Chi lo sa? In ogni caso è un silenzio opprimente. E non solo il silenzio di Heidegger, ma quello che ha in generale caratterizzato per un bel po’ la Germania repubblicana».
Come si sente ora come presidente della Martin-Heidegger-Gesellschaft? Ha mai pensato di dare le dimissioni?
«Le frasi antisemite di Heidegger sono un grande peso per me, lo voglio dire apertamente. E, in generale, non posso che avere un atteggiamento critico e storico verso la storia del pensiero di Heidegger negli Anni 30 e nei primi Anni 40. Non riesco a considerare questo pensiero filosoficamente produttivo. Ma un tale confronto critico e storico è uno dei compiti importanti che la Heidegger-Gesellschaft dovrà affrontare d’ora in poi. Un’istituzione filosofica come la nostra non deve essere una società di adoratori di eroi».
Secondo lei Essere e tempo resta un pilastro della filosofia contemporanea?
«Sì. La filosofia del XX secolo non è pensabile senza Essere e tempo. Come dovremmo interpretare l’opera di Sartre, Merleau-Ponty, Derrida, Levinas, Arendt, Gadamer, Foucault, e le domande di cui si occupano, senza comprendere questo testo? Penso che dovremo abituarci ad adottare due prospettive diverse per Heidegger. Come filosofi lo interrogheremo e lo discuteremo criticamente; nessun altro ci ha insegnato a leggere testi filosofici come Heidegger. Ma d’ora in poi dovremo anche considerarlo una delle figure chiave per capire le patologie del XX secolo».
Come si può abdicare così radicalmente alla ragione?
«Forse dipende dal radicalismo di Heidegger. Era un pensatore rivoluzionario, non un pensatore liberale. Voleva rifondare la filosofia. Questo radicalismo lo ha reso molto produttivo negli Anni 20, perché era legato al lavoro accademico. Non appena è diventato politico, è diventato fatale. Penso che questo tipo di radicalismo sia uno dei problemi fondamentali del Novecento. Non molti intellettuali importanti di quel secolo hanno capito che la dignità umana e la libertà borghese sono valori sacri, da difendere. Thomas Mann lo ha capito. Negli anni della maturità è stato un autore borghese e democratico nel senso migliore del termine».
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