Marco Riformetti | Lo Stato come macchina. Da distruggere
Da Marco Riformetti, Lenin e la filosofia politica di Stato e rivoluzione, Tesi di laurea in filosofia, Pisa, 2017
Abbiamo visto che per Lenin lo Stato è uno strumento di cui la borghesia si serve per conservare il potere politico. Nulla vieta, in astratto, che tale strumento possa essere utilizzato anche dal proletariato per conservare il proprio potere politico, una volta che lo abbia conquistato. In fondo, come afferma Marx nel Capitale, di uno strumento è importante soprattutto l’uso che se ne fa e non è colpa del coltello se viene usato per sgozzare la gente
“L’economista borghese non nega affatto che dall’uso capitalistico delle macchine provengano anche inconvenienti temporanei: ma dov’è la medaglia senza rovescio? Per lui è impossibile adoprare le macchine in modo differente da quello capitalistico. Dunque per lui sfruttamento dell’operaio mediante la macchina è identico a sfruttamento della macchina mediante l’operaio. Dunque, chi rivela come stanno in realtà le cose quanto all’uso capitalistico delle macchine, non vuole addirittura che le macchine siano adoprate in genere, è un avversario del progresso sociale! Proprio l’argomentazione del celebre scannatore Bill Sikes: «Signori giurati, è vero che a questo commesso viaggiatore è stata tagliata la gola. Ma questo fatto non è colpa mia; è colpa del coltello. E per via di questi inconvenienti temporanei dovremo abolire l’uso del coltello? Pensateci bene! Dove andrebbero a finire agricoltura e artigianato senza coltello? Il coltello non è forse salutare in chirurgia quanto dotto in anatomia? E inoltre non è ausilio volenteroso nei lieti desinari? Se abolite il coltello ci ributterete nella barbarie più profonda»” [24]
Sembrerebbe dunque che il problema non sia la macchina, ma l’uso che se ne fa. Così come distinguiamo tra uso capitalistico e uso non capitalistico delle macchine [25], allo stesso modo potremmo assumere lo Stato come elemento astrattamente neutro e distinguere tra il suo uso in senso capitalista e il suo uso in senso socialista. Ma le macchine non sono tutte uguali ed è proprio Marx che, sulla scorta dell’esperienza francese post-quarantottina e dell’ascesa al potere di Luigi Bonaparte, dichiara lo Stato borghese e le sue forme istituzionali inutilizzabili come strumenti utili al proletariato [26]; questo fa dire a Lenin
“è evidente che la liberazione della classe oppressa è impossibile non soltanto senza una rivoluzione violenta, ma anche senza la distruzione dell’apparato del potere statale che è stato creato dalla classe dominante e nel quale questa «estraneazione» si è materializzata. Questa conclusione, teoricamente di per sé chiara, è stata tratta da Marx con perfetta precisione, come vedremo più tardi, dall’analisi storica concreta dei compiti della rivoluzione” [27]
e ancora
“Questo corso degli avvenimenti obbliga perciò la rivoluzione a «concentrare tutte le sue forze di distruzione» contro il potere dello Stato; le impone il compito non di migliorare la macchina statale, ma di demolirla, di distruggerla. ” [28]
Il fatto è che lo Stato non è una macchina qualsiasi. In quanto complesso di “istituzioni” che esprimono giuridicamente il potere di una certa classe su certe altre classi, esso non è neutro e non può essere semplicemente utilizzato dal nuovo potere rivoluzionario
«Lo Stato, miei cari, è un concetto di classe. Lo Stato è un organo, uno strumento di violenza di una classe su un’altra. Fino a quando esso è la macchina della violenza della borghesia sul proletariato non vi può essere che una sola parola d’ordine proletaria: distruzione di questo Stato. Ma quando lo Stato sarà proletario, quando esso sarà lo strumento della violenza del proletariato sulla borghesia, noi saremo completamente e incondizionatamente per un potere forte e per il centralismo» [29]
La borghesia non avrebbe potuto imporre il proprio potere politico se avesse mantenuto un sistema istituzionale basato solo sul sangue. Dunque, la questione dello Stato – e per altri versi quella del “patriottismo” – non è per Lenin una questione astratta, ma pratica. Come sosterrà in altra occasione, dopo una rivoluzione socialista i comunisti possono diventare i più fervidi patrioti perché difendere la patria dei lavoratori al potere è cosa del tutto opposta al difendere la patria dei capitalisti al potere. Inoltre, Lenin considera legittima la parola d’ordine della “difesa della patria” anche nel caso di una lotta di liberazione nazionale da un dominio imperiale o coloniale e persino nel caso in cui un paese borghese-progressista, diciamo così, fosse aggredito da uno o più paesi reazionari (come nel caso della Rivoluzione Francese)
“Il periodo che va dal 1789 al 1871 fu l’epoca di un capitalismo progressivo, in cui l’abbattimento del feudalesimo e dell’assolutismo, la liberazione dal giogo straniero erano all’ordine del giorno della storia. Su questa base, e su questa unica base, si poteva ammettere la «difesa della patria», cioè la lotta contro l’oppressione ” [30]
Viceversa, nessun sovranismo o patriottismo è accettabile quando a scontrarsi siano potenze imperialistiche (in tal caso, anzi, Lenin ritiene che si debba anzitutto combattere l’imperialismo di casa propria)
“Oggi ancora si potrebbe applicare questa concezione alla guerra contro le grandi potenze imperialistiche, ma sarebbe assurdo applicarla a una guerra tra queste grandi potenze, in una guerra in cui si tratta di sapere chi saprà spogliare meglio i paesi balcanici, l’Asia Minore, ecc ” [31]
Per capire cosa intenda Lenin per distruzione della macchina statale si può ricorrere ad un esempio tratto dalle misure introdotte nella sua breve vita dalla Comune di Parigi (che Marx [32] e Lenin [33] hanno sempre considerato un punto di riferimento fondamentale, se non altro in quanto primo tentativo di costruzione di una nuova forma statale post-capitalistica); si tratta della misura della eleggibilità e revocabilità in ogni momento dei funzionari pubblici
“La Comune avrebbe dunque «semplicemente» sostituito la macchina statale spezzata con una democrazia più completa: soppressione dell’esercito permanente, assoluta eleggibilità e revocabilità di tutti i funzionari. In realtà ciò significa «semplicemente) sostituire – opera gigantesca – a istituzioni di un certo tipo altre istituzioni basate su principi diversi. È questo precisamente un caso di «trasformazione della quantità in qualità» da borghese che era, la democrazia, realizzata quanto più pienamente e conseguentemente sia concepibile, è diventata proletaria; lo Stato (forza particolare destinata a opprimere una classe determinata) s’è trasformato in qualche cosa che non è più propriamente uno Stato. ” [34]
Questa misura – semplice a dirsi e al tempo stesso difficilissima a farsi [35] – può sembrare piccola cosa; si tratta invece di una misura fondamentale per evitare il consolidamento di “borghesie di Stato” che possono diventare – e, come abbiamo visto nel ‘900, sono effettivamente diventate – uno degli ostacoli principali nella costruzione del socialismo. È un tema di grande attualità anche nel dibattito politico odierno nel quale si sente dire spesso: “lasciamoli lavorare e se poi, a fine mandato, ci accorgiamo che non hanno fatto bene il loro lavoro allora li cacceremo e ne voteremo altri”. Nello Stato socialista si direbbe invece “verifichiamo costantemente se stanno facendo bene il loro lavoro e se non è così che siano sostituiti subito”. Il vero banco di prova della democrazia socialista è infatti proprio la partecipazione di massa e continuativa alla res publica attraverso mille forme – dirette e indirette –, nonché la riduzione estrema del principio della delega.
Note
[24] Marx [1970], pag. 486.
[25] Su questo tema Cfr. Panzieri [1976].
[26] Lenin [25], pag. 388, “3. Come Marx poneva la questione nel 1852”.
[27] Lenin [25], pag. 368.
[28] Lenin [25], pag. 386.
[29] Cit. Friedrich Engels in Lenin [26], pag. 102. Il centralismo di cui parla Engels non è in contraddizione con una tendenza federalista. In una prima fase, il centralismo serve allo Stato socialista per essere forte contro la borghesia che lo combatte dall’interno e dall’esterno. Ma via via che il processo dell’estinzione dello Stato procede davvero il “centralismo” può passare gradualmente la mano ad un rapporto sempre più “federalista” tra le varie entità sociali.
[30] Lenin [22], pag. 114.
[31] Lenin [22], pag. 114.
[32] Cfr. Marx [1973].
[33] Cfr. Schema di conferenza sulla Comune, febbraio-marzo 1904, in Opere complete, vol. VIII, pp. 188-190; Gli insegnamenti della Comune, in Opere Complete, vol. XIII, pp. 448-451; In memoria della Comune, pubblicato in Rabo?aia gazeta, 1911, n. 4-5, in Opere complete, vol. XVII, pp. 123-127; I Soviet e la Comune in I compiti del proletariato nella nostra rivoluzione, aprile 1917, in Opere complete, vol. XXIV, pp. 49 sgg.; Lo Stato e la rivoluzione. L’esperienza della Comune di Parigi (1871). L’analisi di Marx in Stato e rivoluzione; Il potere della Comune, in Opere complete, vol. XXVI, pp. 435-451; Lo Stato dei Soviet, in Opere complete, vol. XXVII, pp. 109-121; Il rinnegato Kausky e la rivoluzione proletaria, in Opere complete, vol. XXVIII; Il significato della Comune in Tesi e rapporto sulla democrazia borghese e sulla dittatura del proletariato, in Opere complete, vol. XXVIII, pp. 461-477.
[34] Lenin [25], pag. 395.
[35] Brecht [2014], pag. 135.