Marco Riformetti | Lenin e il ricorso alla violenza come necessità
Da Marco Riformetti, Lenin e la filosofia politica di Stato e rivoluzione, Tesi di laurea in filosofia, Pisa, 2017
Diversamente da quanto capita talvolta di leggere [67] per i marxisti lo Stato non è affatto semplice esercizio della funzione repressiva (anche se, in definitiva, la forza materiale è quella che regola in ultima istanza i rapporti di forza tra le classi); Gramsci, lo abbiamo detto, parla di forza e di egemonia; Althusser parla di Apparati repressivi di Stato e di Apparati ideologici di Stato.
Lenin mostra che il miglior sistema politico-istituzionale per il capitalismo è quello repubblicano e democratico perché si presenta come aperto alla dialettica delle idee (mentre in realtà non lo è affatto)
“La repubblica democratica è il migliore involucro politico possibile per il capitalismo”
“nessun cambiamento, né di persone, né di istituzioni, né di partiti nell’ambito della repubblica democratica borghese può scuoterlo” [68]
Si tratta di un passaggio importante, denso di conseguenze.
La prima è che il ricorso alla violenza e alla repressione è, per il potere, una scelta dettata dalla necessità; quindi, si potrebbe dire, il ricorso alla forza è un’espressione di debolezza. La seconda è che la macchina dello Stato funziona bene in un certo modo (a favore degli sfruttatori), ma è del tutto velleitario proporsi di farla funzionare nel modo opposto (a favore degli sfruttati).
Anche i rivoluzionari ricorrono alla violenza solo per necessità (tanto più che in genere chi insorge si trova in condizioni di inferiorità militare) e lo fanno sia per ragioni difensive, sia per ragioni offensive: la violenza è un passaggio necessario per far nascere e difendere il nuovo, posto che il vecchio non accetta mai di uscire di scena pacificamente
“«… che la violenza abbia nella società ancora un’altra funzione (oltre al male che essa produce), una funzione rivoluzionaria, che essa, secondo le parole di Marx, sia la levatrice di ogni vecchia società gravida di una nuova, che essa sia lo strumento con cui si compie il movimento della società, e che infrange forme politiche irrigidite e morte, di tutto questo nel sig. Duhring non si trova neanche una parola»” [69]
Dal momento cheil ricorso alla violenza è inevitabile (non foss’altro che per difendere la possibilità reale di una rivoluzione in potenza così come le conquiste della rivoluzione già in atto) diventa essenziale educarsi a questa prospettiva
“La necessità di educare sistematicamente le masse in questa – e precisamente in questa – idea della rivoluzione violenta, è alla base di tutta la dottrina di Marx e di Engels” [70]
Ma se la violenza è necessaria per avviare la fase del socialismo essa invece non è più necessaria per passare alla fase del comunismo
“La sostituzione dello Stato proletario allo Stato borghese non è possibile senza rivoluzione violenta. Lo soppressione dello Stato proletario, cioè la soppressione di ogni Stato, non è possibile che per via di «estinzione»” [71]
Non si tratta affatto, come potrebbe apparire ad uno sguardo superficiale, di un elogio della violenza; del resto i bolscevichi hanno realizzato l’Ottobre anche grazie alla parola d’ordine della pace e del ritiro immediato dalla Prima guerra mondiale, una parola d’ordine che tutte le altre forze politiche russe, eccetto gli anarchici, si rifiutavano di adottare.
Si tratta piuttosto di una dichiarazione pragmatica, che riconosce la necessità di un certo grado di violenza per abbattere l’ancient regime ed aprire la strada alla società nuova.
Ora, lo Stato non è solo repressione ma di certo è anche, e in larga misura, repressione
“Lo Stato è un’organizzazione particolare della forza, è l’organizzazione della violenza destinata a reprimere una certa classe” [72]
“Il potere statale, l’organizzazione centralizzata della forza, l’organizzazione della violenza, sono necessari al proletariato sia per reprimere lo resistenza degli sfruttatori, sia per dirigere l’immensa massa della popolazione – contadini, piccola borghesia, semi-proletariato – nell’opera di «avviamento» dell’economia socialista” [73]
Dove esistono classi esiste lotta di classe; dove esiste lotta di classe esiste potere di alcune classi su altre classi; dove esiste il potere di una classe esiste la violenza per instaurare e conservare tale potere. In questo, la rivoluzione socialista non è diversa dalle rivoluzioni che l’hanno preceduta (come quella francese o quella americana o quella inglese). La differenza risiede semmai nel fatto di presentarsi come ultima rivoluzione violenta (essendo l’ultima rivoluzione tout court la rivoluzione pacifica del passaggio dal socialismo al comunismo)
“Costoro noi li dobbiamo reprimere, per liberare l’umanità dalla schiavitù salariata; si deve spezzare con la forza la loro resistenza; ed è chiaro che dove c’è repressione, dove c’è violenza, non c’è libertà, non c’è democrazia” [74]
Note
[67] Valga per tutti la riflessione di Pierre Bourdieu che attribuisce alla tradizione marxista la tendenza a vedere soprattutto la funzione repressiva dello Stato.
[68] Lenin [25], Pag. 372.
[69] Lenin [25], Pag. 377.
[70] Lenin [25], Pag. 378.
[71] Lenin [25], Pag. 379.
[72] Lenin [25], Pag. 380.
[73] Lenin [25], Pag. 382. Si osservi qui come sia chiarissima l’idea di Lenin della costruzione del socialismo come alleanza tra proletariato, piccola borghesia e sotto-proletariato.
[74] Lenin [25], Pag. 433.