Marco Riformetti | Estetica ed esperienza dell’opera d’arte
Marco Riformetti, Estetica ed esperienza dell’opera d’arte, Nota, PDF, 4 pagg.
In genere, quando parliamo di estetica tendiamo a pensare a qualcosa che ha a che fare con la bellezza. E in effetti l’estetica viene generalmente considerata la disciplina filosofica o artistica che si occupa dello studio del bello.
La parola estetica deriva dal greco “aisthesis” (sensazione) e “aisthetike” (sensibile) che hanno a che fare con la semplice percezione dei sensi. In questo senso è “estetico” anche il giudizio che diamo mangiando un frutto o quello che diamo percependo un odore.
Nel XVIII secolo il termine “estetica” si afferma nella sua accezione moderna grazie al filosofo tedesco di scuola liebnitziana Alexander Baumgarten
«I noetà [1] sono da conoscere con la facoltà superiore, oggetto della logica, gli aisthetà [2] con la facoltà inferiore, oggetto della epistème aisthetikè ovvero estetica». [3]
Si tratta di una distinzione abbastanza netta che oggi probabilmente non troverebbe riscontro nei più recenti studi di neurobiologia, ma che invece conserva una sua utilità come elemento di una teoria dell’esperienza artistica, dove con “esperienza artistica” vogliamo intendere l’esperienza che dell’arte fanno tanto i creatori quanto i consumatori [4] dell’opera, pur nell’eterogeneità di prospettive e di intenzionalità.
Nel 1750 Baumgarten sviluppa la sua definizione del 1735
«L’estetica (teoria delle arti liberali, gnoseologia inferiore, arte del pensare in modo bello, arte dell’analogo della ragione) è la scienza della conoscenza sensibile».
«Il fine dell’estetica è la perfezione della conoscenza sensibile in quanto tale. Ma questa è la bellezza».” [5]
Ci interessa suddividere l’“esperienza artistica” in due momenti che in verità non dovrebbero essere separati, ma la cui separazione [6] è utile per sviluppare un certo tipo di riflessione. Questi due momenti sono il momento dell’estetica in senso stretto dell’opera d’arte nel quale prevale la dimensione legata al rapporto sensibile con l’opera e il momento della semantica dell’opera d’arte nel quale prevale la dimensione legata al rapporto con il concetto dell’opera e con il pensiero dell’artista.
Inoltre, se consideriamo la poetica dell’autore come unione della sua intenzione artistica con la modalità scelta per esprimerla allora possiamo riconoscere come la poetica abbia a che fare tanto con l’estetica quanto con la semantica dell’opera d’arte.
Per esemplificare (e semplificare) possiamo pensare ad un’opera come il Guernica di Pablo Picasso. Da un lato c’è l’estetica dell’opera con i suoi grigi, con le sue forme più o meno “cubiste”, con le sue dimensioni imponenti, con il suo “percorso” di osservazione [7]… Dall’altro lato c’è la semantica dell’opera con la sua denuncia dell’orrore della guerra e la rappresentazione della sofferenza e della devastazione che questa impone alle comunità, con lo schieramento dell’artista a fianco del fronte popolare nella lotta contro il fascismo).
Adottando questa duplicità si può convenire che la semantica del Guernica si sarebbe potuta realizzare anche attraverso una diversa estetica. Infatti, pur nel suo carattere iconico Guernica non è l’unica opera che denuncia l’orrore della guerra e un’opera del tutto analoga si sarebbe potuta realizzare per denunciare un qualsiasi altro bombardamento, persino dalle caratteristiche politiche rovesciate.
Le separazione tra estetica e semantica dell’opera d’arte – anche se in certa misura artificiale perché spesso amiamo qualcosa proprio perché per noi ha un certo significato – è utile per evitare l’errore di liquidare espressioni artistiche astratte povere semanticamente, ma ricche esteticamente [8].
L’estetica dei tagli di Lucio Fontana è certamente molto più potente della sua semantica spazialista mentre, al contrario, la “merda d’artista” di Piero Manzoni è molto più ricca di semantica che non di estetica. Solo tenendo ben ferma questa distinzione riusciamo a spiegare come mai solo alcuni “buchi” siano così efficaci o perché la provocazione di Manzoni può suggerirci una critica del carattere ultra mercantile del mondo dell’arte e non un semplice moto di disgusto.
Ai due estremi della separ-azione tra estetica e semantica si collocano, da un lato, la completa rinuncia del produttore alla semantizzazione dell’opera che viene lasciata al consumatore (“che ci veda quello che vuole!”) e, dall’altro, la totale semantizzazione dell’opera fino ad arrivare alla distruzione stessa della sua fisicità (come probabilmente è stato anche per la banana di Cattelan [9], peraltro venduta a più di 100.000 dollari prima di marcire).
Ad un estremo possiamo collocare Kazimir Malevic per il quale l’opera è
“«un deserto dove nulla è riconoscibile, eccetto la sensibilità dell’artista»” [10]
(anche se poi con il suo Quadrato bianco su sfondo bianco l’artista sembra suggerire la scomparsa anche dell’elemento estetico). All’altro estremo possiamo collocare Marcel Duchamp per il quale il concetto è tutto e la dimensione estetica dell’opera non è nulla (si pensi ai cosiddetti ready-made in cui oggetti di uso comune vengono ri-semantizzati per il solo fatto di essere ri-collocati).
A cosa serve una distinzione chiara – sia pure non dicotomica – tra estetica e semantica dell’opera d’arte? Serve a non buttare le madonne di Giotto solo perché esprimono un concetto religioso. Serve a non buttare la musica di Mozart solo perché scritta sotto commissione e per il piacere dell’Imperatore d‘Austria o dell’Arcivescovo di Vienna. Ma serve anche a valorizzare ancor di più quell’arte che mette la bellezza al servizio dell’umanità e non del potere e della ricchezza.
Note
[1] Rappresentazioni razionali.
[2] Rappresentazioni sensibili.
[3] Alexander Baumgarten, Riflessioni sulla poesia, 1735.
[4] La parola “consumatore” (in luogo di altre come fruitore, utente, osservatore…) non è scelta in modo casuale.
[5] Alexander Baumgarten, Estetica, vol. I, 1750. I riferimenti a Baumgarten sono ripresi dalle lezioni di Estetica tenute dal Prof. Leonardo Amoroso nel 2015 presso la facoltà di Filosofia dell’Università di Pisa.
[6] Intesa come azione – di suddivisione logica – piuttosto che come condizione – di separatezza –.
[7] Il quadro era posto all’ingresso del padiglione spagnolo nell’esposizione francese del 1937 e tale ingresso era collocato alla destra dell’opera; dunque, il visitatore “leggeva” progressivamente il Guernica da destra verso sinistra lungo un percorso di quasi 8 metri. Un altro famoso esempio di “opera da percorrere” è il Fregio che Klimt realizzò nell’ambito della mostra del 1902 dedicata a Ludwig van Beethoven: 34 metri di opera appesa a 3 pareti del Palazzo della Secessione di Vienna.
[8] Si pensi al giudizio che nel 1948 Togliatti dette sulla mostra Arte concreta e astratta definendo le opere “non arte”.
[9] Maurizio Cattelan, Comedian, https://artslife.com/2019/12/06/120mila-euro-banana-maurizio-cattelan-art-basel-miami-beach/
[10] Carlo Bertelli, La storia dell’arte. Dal neoclassicismo alla metà del novecento.