Antiper | Il fascisti italiani e la strategia atlantica negli anni ’50
Questo è il primo di una serie di articoli che intendiamo proporre sulla base della lettura del nuovo libro di Davide Conti, Fascisti contro la democrazia. Almirante e Rauti alle radici della destra italiana (1946-1976), Einaudi, 2023.

Si sente ripetere spesso che il Movimento Sociale Italiano, il partito neofascista che negli anni ’40 intese raccogliere l’eredità del fascismo e della Repubblica Sociale Italiana (RSI), fosse un partito dall’approccio internazionale “terzocampista” che rifiutava l’alleanza con gli americani per ragioni storiche (proprio gli USA erano stati tra gli artefici della caduta del fascismo) e a maggior ragione rifiutava l’alleanza con l’URSS per analoghe ragioni storiche e per evidenti ragioni ideologiche.
Questa storiella del “terzaforzismo” inizia con lo stesso Mussolini che aveva avuto l’ardire di descrivere il fascismo come “terza via” tra capitalismo e comunismo (senza disdegnare però la sponsorizzazione del capitale industriale e agrario, della monarchia e del Vaticano nonché la loro protezione nell’ascesa verso il potere, protezione senza la quale non vi sarebbe stata alcuna ascesa) e prosegue con alterne vicende fino addirittura al terrorismo nero degli anni ’70; per fare un esempio, il gruppo terroristico Terza Posizione, i cui membri parteciparono alla strage di Bologna del 1980, si era dato quel nome per suggerire la propria “equidistanza” (!) tra comunismo e capitalismo.
Di recente la storiella è stata frequentemente riproposta da Marco Travaglio, il noto e acuto giornalista dal background montanelliano, che non perde occasione per rimproverare all’attuale Presidente del consiglio, Giorgia Meloni, di avere tradito il tradizionale posizionamento terzoforzista del neofascismo italico in nome di una adesione acritica e subalterna agli interessi strategici degli Stati Uniti (il che, sia detto per inciso, sarebbe oggi ancor più grave visto che dall’altra parte abbiamo Putin che di certo non è Stalin, oppure Hamas che di certo non è il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina di George Habbash).
Dice Travaglio che Meloni
“Ha tradito e segato tutte le radici della destra storica, diventando prima di vincere le elezioni una destra pro establishment, spalmata e schiacciata sugli Stati Uniti, al di là della presidenza di Biden o Trump, anti legalitaria e antisociale” (https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/02/27/fratelli-di-chat-travaglio-meloni-arrivata-al-chigi-tradendo-le-radici-della-destra-ranucci-libro-boccata-dossigeno-contro-loblio-di-stato/7893840/)
Ma la “destra storica” (Travaglio si riferisce al periodo repubblicano, evidentemente, e non a quello di fine ‘800), quella di cui Giorgia Meloni si propone come erede, come si evince dall’adozione della “fiamma tricolore” nel simbolo, non è mai stata sociale (visto che il suo sindacato, la Cisnal, era formato da capi e spie del padrone), non è mai stata legalitaria (visto che tramava un colpo di stato dopo l’altro ed è stata responsabile di una sequenza infinita di atti di violenza contro gli oppositori politici) e men che mai è stata “terzocampista” nelle questioni internazionali.
Per sincerarcene analizziamo le prime pagine del libro di Davide Conti (https://www.einaudi.it/catalogo-libri/storia/storia-moderna/fascisti-contro-la-democrazia-davide-conti-9788806261788/)
Il Movimento Sociale Italiano (MSI) nasce nel dicembre 1946 ovvero nel momento in cui la cosiddetta “guerra fredda” sta per dispiegarsi compiutamente. In questo contesto i fascisti italiani non sono tanto o solo dei semplici nostalgici del fascismo, ma piuttosto preziosi alleati degli statunitensi nella guerra contro i comunisti. I legami con i servizi segreti e con gli ambienti politici ed economici statunitensi, per quanto ben occultati, sono già molto importanti sin dalla primissima fase di vita del partito che si lega subito a Vaticano, massoneria, Confindustria, Stati Uniti… per costruire una “santa alleanza” anti-comunista. Tutto questo anche grazie all’amnistia di Togliatti e alla possibilità di usufruire di una sostanziale continuità di potere negli apparati dello Stato (e segnatamente in quelli militari e di polizia).
Solo per fare alcuni semplici esempi di figure chiave del neofascismo che stabiliscono contatti diretti con l’intelligence americana possiamo citare Pino Romualdi, che riceve un finanziamento dal Counter Intelligence Corps (CIC) statunitense per la sua attività tra il dicembre 1947 e il marzo 1948 all’interno di una rete informativa chiamata “Los Angeles”, l’ex comandante della X Mas, Junio Valerio Borghese, che viene salvato nel 1945 da James Jesus Angleton, all’epoca capo del controspionaggio USA (OSS, poi CIA) in Italia o anche il generale Alessandro Pirzio Biroli che partecipa alla creazione della struttura anticomunista “Pace e Libertà” e viene finanziato con i fondi del Piano Marshall.
Inizialmente, durante la prima segreteria di Giorgio Almirante (dal 1946 al 1950), l’MSI sembra adottare una linea di “neutralismo debole”; dopotutto, gli americani sono stati nemici in guerra e complici dei comunisti nella sconfitta militare dell’alleanza formata da Germania, Italia e Giappone. Ma si tratta di una petizione di principio, poco fruttuosa sul piano politico e che viene infatti rapidamente superata con l’apertura della nuova fase della “guerra fredda”.
Già nel marzo del 1949 Almirante opera un primo spostamento dando un “giudizio di mediazione” sul nascente Patto Atlantico (NATO) riconosciuto come “ripresa della politica antikomintern” e quindi pienamente in sintonia che la lotta che anche il MSI conduce contro “il comunismo che marcia da Oriente”.
La linea anticomunista e atlantista si consolida ulteriormente con la successiva dirigenza di Augusto De Marsanich e quella di Arturo Michelini i quali conducono il partito all’accettazione completa del sistema militare occidentale a guida statunitense nel 1951. Il riallineamento del MSI viene rafforzato ulteriormente dall’ingresso nel partito, in qualità di presidente onorario, di Junio Valerio Borghese, personaggio fortemente legato agli ambienti statunitensi e atlantici.
Ovviamente, il riposizionamento filo-atlantico e filo-americano del MSI non poteva non suscitare malumori nella componente del partito proveniente dall’esperienza della “Repubblica di Salò”; come si è detto, fascisti e americani erano stati su fronti opposti durante la guerra.
Chi si fa promotore di una posizione apparentemente anti-americana è Pino Rauti, uno dei leader della componente giovanile del MSI, già volontario all’epoca della RSI. Rauti, che nel 1953 fonda il Centro Studi Ordine Nuovo, diventa il principale critico di quello che egli definisce l'”equivoco filoamericanismo” del MSI perché teme il partito possa divenire, nel quadro di uno scontro tra blocchi, una sorta di “legione straniera” al servizio della plutocrazia americana”. Ma sono solo parole che vengono agitate soprattutto per contrastare la linea politica generale del MSI accusandola di “riformismo” e di “entrismo” nel sistema democristiano (la cosiddetta “linea dell’inserimento” di Michelini che nel 1960 avrebbe portato i fascisti sulla soglia dell’ingresso al Governo, a soli 15 anni di distanza dal 25 aprile 1945).
Infatti, anche il gruppo ordinovista avrebbe poi, negli anni successivi, sviluppato ferree relazioni internazionali con ambienti di estrema destra di matrice atlantica, funzionali alla lotta anticomunista. Anzi, Ordine Nuovo sarà protagonista della stagione stragista – la cosiddetta “strategia della tensione” – guidata da un sistema di alleanze e poteri istituzionali e illegali che hanno il proprio perno proprio in organizzazioni americane e atlantiche come la CIA o la NATO.



