Cristiano Armati presenta Fidel Castro | Il libretto rosso di Cuba
SABATO 28 gennaio 2017 | ore 18 c/o Circolo Arci ALHAMBRA, Via Enrico Fermi 27, PISA Cristiano ARMATI (Red Star Press) presenta FIDEL CASTRO. IL LIBRETTO ROSSO DI CUBA Il...
SABATO 28 gennaio 2017 | ore 18 c/o Circolo Arci ALHAMBRA, Via Enrico Fermi 27, PISA Cristiano ARMATI (Red Star Press) presenta FIDEL CASTRO. IL LIBRETTO ROSSO DI CUBA Il...
Un intervento condivisibile (Antiper)
Prima parte: dalla Brexit alle dimissioni di Farage
1. Essenza della cosiddetta democrazia liberale è ridurre l’intera alternativa tra il peggio e il meno peggio. Il meno peggio è spesso solo la forma presentabile del peggio. Il REFERENDUM, lungi dall’essere forma avanzata di democrazia, si sposa perfettamente con questo modello. Tanto più suonano pompose le trombe del “plebiscito”, tanto più lo spartito è scritto alle spalle della “plebe”.
2. Il fatto che in Europa ritorni tanto lo strumento referendario, dalla Grecia fino al Regno Unito passando per la Scozia, non riflette la salute democratica del capitalismo europeo. Riflette semmai la sua profonda malattia. Le masse vengono chiamate fugacemente a esprimersi con un sì o con un no, da usare come grimaldello, ricatto o materia di scambio nelle reali sedi decisionali.
E’ raro trovare analisi ampiamente condivisibili su temi estremamente controversi. E’ il caso di questo intervento di Michele Nobile (che peraltro appartiene ad un movimento politico di cui convidiamo assai poco sul piano politico) il quale, in modo sintetico ed efficacie, distrugge molte delle sciocchezze scritte in queste ore da esponenti di un’asin/istra “ex ed extra parlamentare” ormai allo sbando e alla disperata ricerca di qualche carro su cui salire. L’intervento coglie alcuni elementi salienti (come, ad esempio, il fatto che l’Europa è diventata il diversivo verso cui indirizzare il malcontento popolare per evitare che esso si rivolga verso i veri nemici mettendo fine alla pace sociale nazionale). Altro esempio: Michele Nobile ricorda una cosa importante che non ha trovato il minimo spazio tra i milioni di post di questi giorni: ben prima che vi fosse l’attuale Europa con l’attuale euro, proprio in GB la Thatcher sferrava il più poderoso attacco anti-operaio della storia del ‘900 a dimostrazione che anche senza Commissione Europea o BCE i padroni sapevano (e sapranno) fare il loro mestiere (tra l’altro, mille volte meglio di certi sindacalisti super-anti-europeisti porta-sfiga sempre alla guida di qualche operazione politica votata al sicuro insuccesso). Tra gli altri, sottolineiamo in particolare questo passaggio:
"Il leave the Eu ha vinto massicciamente nell’Inghilterra propriamente detta (60%) e in Galles (55,5%). Tuttavia ha perso, e non di poco, in tutte le maggiori città inglesi e gallesi: il voto per restare nell’Ue ha raggiunto il 60% nell’area metropolitana di Londra, a Manchester, Cardiff, Bristol; il 58% a Liverpool, Reading, York; ha pareggiato a Leeds e perso a Birmingham, ma col 49,6% dei voti validi. Mi è difficile pensare che l’elettorato politicamente meno cosciente si concentri proprio nella grandi città".
Usando la stessa logica adottata da certi vecchi arnesi asin/istri si dovrebbe concludere che gli operai e le città metropolitane hanno sonoramente battuto il Brexit e che questo ha vinto piuttosto nelle provincie chiuse e impaurite (che ai tempi del buon Marx erano la terra di dominio della grande aristocrazia fondiaria e della gentry).
Ma siccome certe conclusioni tirate a casaccio è bene lasciarle agli esagitati che si spellano le mani per la vittoria della destra britannica (che ha condotto una campagna referendaria in buona parte xenofoba) diciamo solo ciò che ripetiamo da tempo: il problema non è stare dentro o fuori l’Europa o l’Euro; il problema è chi tiene le redini del potere economico, politico e sociale. Parlare a vanvera di “restare” o “andare” senza porsi concretamente il problema degli scenari che emergono è qualcosa che deve essere rigettato completamente.
E tutti questi entusiasmi dell’asin/istra sono il sintomo della suo ormai irreversibile coma politico (Antiper).
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Al primo impatto ho trovato assai divertente l’idea per cui la decisione degli elettori britannici di uscire dall’Unione europea sarebbe un fatto «di sinistra». Pensandoci meglio, è semplicemente «tragica». Brevissime considerazioni.
1) Innanzitutto, è stata la xenofobia a determinare il successo del leave, del voto per lasciare l’Unione europea, per un margine non grande. La linea anti-migrazione, diretta non soltanto contro gli extracomunitari ma anche verso i cittadini europei, è stata condita, è vero, dalla demagogia antiplutocratica di destra e liberista nei confronti dei burocrati di Bruxelles e delle «banche». Non a caso si tratta di un successo elettorale che fa esultare la destra-destra e l’estrema destra europea, dal Front National alla Lega Nord ad Alba Dorata. Insomma, sul piano concreto e dei grandi numeri, la mobilitazione (elettorale) contro l’Ue si esprime con una forte connotazione nazionalista xenofoba, spesso ultraneoliberista.
Il male non è necessariamente eroico. Anche lo sterminio sistematico di milioni di persone può essere un atto svolto burocraticamente, senza grandi passioni. Crimini come l’Olocausto o la decisione di annichilire Hiroshima e Nagasaki o anche la stessa quotidiana e invisibile strage per fame, guerre e malattie di centinaia di migliaia di esseri umani… sono stati (e sono) attuati senza alcun coinvolgimento emotivo o senso di colpa, in nome di «necessità» che vengono presentate come inderogabili. Ma queste «necessità» sono davvero tali? Davvero l’uomo non può nulla contro di esse?
Un vecchio intervento del 2012 che può forse tornare di una qualche attualità a seguito della recente decisione di lasciare la CGIL da parte di Sergio Bellavita, già coordinatore dell’Area...
“Com’è noto, la cooperazione semplice si presenta, secondo Marx, storicamente all’inizio del processo di sviluppo del modo di produzione capitalistico. Ma questa figura semplice della cooperazione è soltanto una forma particolare della cooperazione in quanto forma fondamentale della produzione capitalistica.
‘La forma capitalistica presuppone fin da principio l’operaio salariato libero, il quale vende al capitale la sua forza-Iavoro)’ (Karl Marx, Il Capitale).
Ma l’operaio, in quanto proprietario e venditore della sua forza-lavoro, entra in rapporto con il capitale soltanto come singolo. La cooperazione, il rapporto reciproco degli operai
‘comincia soltanto nel processo lavorativo, ma nel processo lavorativo hanno già cessato d’appartenere a se stessi. Entrandovi, sono incorporati nel capitale. Come cooperanti, come membri di un organismo operante, sono essi stessi soltanto un modo particolare di esistenza del capitale. Dunque, la forza produttiva sviluppata dall’operaio come operaio sociale è forza produttiva del capitale. La forza produttiva sociale del lavoro si sviluppa gratuitamente appena gli operai vengono posti in certe condizioni; e il capitale li pone in quelle condizioni. Siccome la forza produttiva sociale del lavoro non costa nulla al capitale, perchè d’altra parte non viene sviluppata dall’operaio prima che il suo stesso lavoro appartenga al capitale, essa si presenta come forza produttiva posseduta dal capitale per natura, come una forza produttiva immanente’ (Karl Marx, Il Capitale)”.
Un libro davvero molto interessante e utile. Da leggere (Antiper)
Beverly J. Silver, Le forze del lavoro. Movimenti operai e globalizzazione dal 1870
Claude Eatherly fece parte come ricognitore dell’equipaggio che gestì lo sganciamento della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki. Questa partecipazione gli provocò rimorsi e problemi psicologici. Gunther Anders gli scrisse, ci fu uno scambio epistolaree e definì Eatherly un precursore del tipo d’uomo – “incolpevole colpevole” – che tutti saremmo diventati.
L’economicizzazione del conflitto di classe è uno dei capitoli che formano il libro Memorie di classe di Zygmunt Bauman. Si tratta di un brano che prova a mostrare il meccanismo di integrazione nella riproduzione capitalistica della ribellione operaia che si determinò nelle prime fasi di “industrializzazione”.
Di fronte alle difficoltà che si incontrano nel tentativo di analizzare una realtà complessa ed in rapido movimento come quella cinese, vorremmo esperire un tentativo di ricorrere ad alcuni elementi teorici della tradizione scientifica marxista per delineare un quadro teorico che permetta di rendere meglio intelligibili i dati concreti. Avanziamo qui alcune ipotesi interpretative da intendersi come proposte di ricerca e ovviamente passibili di ulteriori approfondimenti e modifiche. Richiamiamo brevemente ora gli estremi teorici cui faremo riferimento.
Hannah Arendt, nel suo libro La banalità del male, cronaca del processo al gerarca nazista Adolf Eichmann, mostra una cosa molto interessante: all’inizio del nazismo i consensi del movimento sionista in Germania erano molto bassi. Gli ebrei tedeschi non volevano tornare in Palestina, come è normale per famiglie che da secoli vivevano in quel paese. Mano a mano che le persecuzioni naziste sono aumentate il movimento sionista si è progressivamente rafforzato e l’Agenzia per la Palestina ha cominciato a rimpatriare persone a pieno regime, grazie anche all’aiuto dei nazisti stessi (che in questo modo si levavano dai piedi molti ebrei) non prima di averle derubate di tutto ciò che possedevano in Germania. Non è esagerato dire che, senza il nazismo, il sionismo non avrebbe mai attecchito nelle comunità ebraiche.
Che lo Stato di Israele, impiantato con la forza in Palestina e in Medio Oriente, sarebbe degenerato in una nuova Sparta, costantemente in guerra, costantemente in preda al panico, costantemente protesa allo sterminio del proprio avversario… è una intuizione – come quella della Nabka che sarebbe venuta e della lobby ebraica USA (e degli USA più in generale) come supporto indispensabile per la sopravvivenza – che testimonia della lucidità di Hannah Arendt sul destino di Israele il quale, per quanti massacri possa compiere, alla fine non riuscirà a vincere. Anche Sparta è caduta, dopotutto, ed oggi non esiste nessuna città greca che ne abbia raccolto l’eredità (Antiper).
Un capitolo di Weathermen. I fuorilegge d’America. Da Commonware hits | 4.286
Un volantino del 2006 del Laboratorio Marxista. Sono passati 8 anni, ma le cose per il popolo palestinese non sono cambiate, ancora sotto l’assedio criminale di Israele, nell’indifferenza –...
La vulgata neokeynesiana pro “crescita” ha su questa sponda dell’Atlantico il suo dogma incrollabile: gli Stati Uniti sono usciti dalla crisi grazie alla politica economica e monetaria espansiva dell’amministrazione Obama. Il suo profeta Paul Krugman, è vero, proclama in patria che la liquidità immessa non è ancora sufficiente per risollevare la middle class (anzi, ultimamente ha avanzato dubbi più “strutturali” ma i suoi adepti europei non sembrano aver preso nota). Nessuno comunque mette in dubbio che la strada giusta è quella.
Click click. Digita, schiaccia, salva, invia. Click click. Guarda, sposta, cambia esporta. Occhi aperti davanti al monitor, mano sul mouse, comandi da eseguire su un software: se oggi chiedessero a Charlie Chaplin di raccontare il proletario contemporaneo, i suoi Tempi Moderni forse li illustrerebbe così, con uno schiavo del click click. Al computer, più che tra gli ingranaggi di una catena di montaggio.
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